Dove nasce la magia di un bacio? Nella morbidezza delle labbra? Nell’avvicinarsi timido o eccitato di due volti? Di sicuro, c’è un’immagine che da sempre rappresenta la magia di un bacio; un’immagine universale; ossia il quadro di Francesco Hayez, “Il bacio”. Ci sono tre versioni della famosa tela. È possibile ammirarle nella mostra milanese “Hayez”, alle Gallerie d’Italia, sino al 21 febbraio. Non è mai stata proposta questa vicinanza delle tre versioni che dimostrano la sicurezza estetica con cui l’artista tentava di riproporre il suo racconto pittorico. “Il bacio” è un’icona della civiltà del Romanticismo. Attraverso i personaggi raffigurati, il giovane con il capello e la ragazza con l’abito turchese, abbiamo letto e riletto una storia di lontananze, di fughe notturne, di un soldato e di una fidanzata che si salutano prima che il destino scriva la sua storia.
Con un linguaggio realistico ottocentesco, i quadri di Hayez sanno soprattutto raccontare il destino di un popolo; e questo si percepisce rimanendo dinanzi alla tela “Vespri siciliani” (1846-1848), un quadro che alimenta un racconto di tensione storiche dentro una figurazione classicheggiante. Chi desidera rileggere l’opera dell’artista veneziano, che insegnò all’Accademia di Brera a partire dal 1822, ha la possibilità di entrare in una pittura che desiderava parlare alla storia delle comunità; ecco spiegata l’attenzione dell’artista per le celebri scene della storia inglese (“Maria Stuarda che va al patibolo”, 1827) o della storia veneziana (“Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero”, 1867). Composta da 120 opere, provenienti da diversi musei e da importanti collezioni private, questa retrospettiva riscopre anche il ritrattista di Alessandro Manzoni, cioè il creatore di quel famoso ritratto che coinvolse tante generazioni di lettori catturati dallo sguardo contemporaneamente grave e benevolo del grande lombardo.
Sorprende poi scoprire nella mostra i nudi del maestro veneziano, i corpi dipinti che sono delle sintesi figurative che partono dal sublime Botticelli e arrivano all’espressività barocca di Rubens. “La venere che scherza con due colombe” (1830) esprime quindi una figurazione sensuale che si collega all’arte classica ma con una freschezza scarsamente rintracciabile nella pittura del diciannovesimo secolo.
Piace riprendere adesso un giudizio di tanti anni fa. Carlo Argan giudicò l’arte di Hayez “non rivoluzionaria”, proprio perché il pittore inserì il suo linguaggio tra il neo-classicismo e il realismo romantico. Nel nostro tempo smarrito e affogato nei codici interpretativi, invece, questa esperienza di figurazione dell’ottocento insegna che l’arte non terminerà di comunicare emozioni e saprà attraversare i secoli se metterà insieme le vicende di un popolo e l’esperienza individuale. Questo motivo è leggibile proprio nell’opera “Il bacio”, dipinta nel 1859, nella quale, ogni volta, pensiamo di ritrovare un giovane italiano che bacia il suo amore prima di andare verso un altro amore, quello patriottico, quello della riscossa che portò i giovani sui campi di battaglia di Solferino e San Martino, durante il risorgimentale 1859.