“Il nuovo muro” (Sperling & Kupfer), rappresenta l’ultima fatica editoriale di Michail Gorbačëv, il padre della perestrojka. Il saggio si apre con il bizzarro episodio della notizia della sua morte, battuta nell’agosto 2013 dall’agenzia di stampa russa Novosti; secondo Gorbačëv, messa in circolo dall’establishment di potere che ha preso le redini in Russia dopo il «sabotaggio della perestojka», per gettare fango sul suo nome e sulla sua azione politica, condotta per mezzo della Fondazione Gorbačëv, creata nel 1991, subito dopo l’abbandono della prima carica dello stato (la «sommità» come la chiamano gli addetti lavori), e l’insediamento di Boris El’cin.
Gorbačëv, non fa misteri, e afferma candidamente come all’epoca della creazione della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) «diretta a creare un’Unione Sovietica senza Gorbačëv» egli abbia subito chiamato in suo aiuto i maggiori leader occidentali: Bush, Mitterand, Major, Kohl, al fine di sostenere i suoi «sforzi di ispirazione riformista», vantandosi inoltre, di aver posto così fine alla Guerra fredda.
Opera questa di avvicinamento della Russia all’Occidente secondo i principi di ciò che egli chiama «nuovo pensiero», che non si è tutt’ora conclusa, ma che continua per mezzo della sua Fondazione, che ad onor di cronaca – afferma – si finanzia senza alcun sussidio statale, grazie ai proventi delle sue conferenze e dei suoi libri, oltre che con donazioni individuali private (ci sarà mica di mezzo Soros?); tiene a precisare inoltre che gli stipendi dei suoi collaboratori sono «estremamente modesti», «niente a che vedere – dice – con il reddito dei funzionari del pletorico apparato russo». Ma questa è solo una delle molteplici stoccate al «potere putinista»…
Comunque sia, a parte una malcelata vena complottista ed una buona dose di revanchismo anti-putiniano, a trent’anni suonati dall’avvio della perestojka, questo saggio si presenta come una interessante testimonianza da parte di uno dei protagonisti indiscussi e tra i più discussi della politica del Novecento (già premio Nobel nel 1990), capace di condurre il lettore con dovizia di particolari attraverso le fasi più salienti di quel processo capace di imporre una svolta epocale all’assetto geopolitico del pianeta.
Il racconto di Gorbačëv parte dalla dissoluzione dell’URSS e, attraverso il periodo della transizione post-comunista ed il successivo default, giunge sino all’ascesa di Putin (dunque all’edificazione del «nuovo muro»), toccando inoltre i temi del terrorismo internazionale e della questione ambientale, alla quale Gorbačëv si dimostra quanto mai interessato quale fondatore dell’organizzazione ambientalista Green Cross International.
Ma non solo di politica si discetta in questo saggio. Accanto alle considerazioni politiche, fanno capolino infatti i ricordi personali, attraverso il racconto di aneddoti riguardanti l’infanzia e la prima giovinezza di Gorby, trascorse in un villaggio della profonda campagna russa, per gran parte a bordo della mietitrebbia paterna; segue il ricordo dell’amata moglie scomparsa Raisa, sua compagna di una vita.
Un libro-testimonianza dunque questo, che non può mancare di destare l’attenzione di chi bazzica il mondo della geopolitica e degli appassionati di storia contemporanea che vogliano saperne di più – seppur da un punto di vista marcatamente di parte – riguardo la storia recentissima di un paese la Russia che tutt’oggi conserva un posto a sé nello scacchiere geopolitico mondiale, svolgendo un delicato ruolo di ago della bilancia tra la pre-potenza occidentale ed il variegato e tumultuoso mondo mediorientale.
*”Il nuovo muro” di Michail Gorbačëv (pp. 384, euro 22)