Lo Stretto è largo. Così, attraversando il mare di Messina in ferribotte, disse Angelo Musco, la maschera pirandelliana del Berretto a sonagli. E lo Stretto, infatti, reclama rane dalle bocche larghe. Oggi Matteo Renzi, pronto a erigerne uno, come ieri Silvio Berlusconi. E come ancora prima qualunque squagliacquazzina passato dalle stanze dei bottoni.
Lo Stretto non è stretto e purtroppo non tiene lontana la realtà delle cose con la più inopportuna delle pensate. Le avvicina. Peggio che un’allucinazione. E tutto questo quando per arrivare da Catania a Palermo, con l’autostrada dal pilone inginocchiato al dio del disastro, ci vogliono tre ore e mezzo. Quando su quattro strade, nell’intero territorio dell’isola, tre sono rotte o contorte. Come la Catania-Ragusa dove, per dirla con Fiorello, nelle stazioni di servizio oltre al carburante gli automobilisti possono usufruire della consulenza di uno psicologo.
Ed è una leggenda da sempre cornuta quella dell’eventualità di averlo il Ponte. Se si fa, serve alla mafia perché così – moderna com’è, fiutando l’affare – specula sugli appalti. Se non si fa, invece, si va incontro agli interessi della mafia perché questa – arcaica com’è, imponendosi nell’arretratezza – vuole mantenere il business dei traghetti.
Largo è lo Stretto, ma manco è stretta la Sicilia. La rete ferroviaria è fatta di binario uno, triste y solitario; le frane sono all’ordine del giorno, le tubature idriche saltano come fossero tappi di vulcanelli improvvisi e proprio a Messina dove manca l’acqua ormai da due settimane – dove c’è nientemeno l’esercito in assetto di emergenza – arriva questa buona nuova del Ponte promesso ancora oggi da Renzi, giusto a replicare il già detto del Cav., e a conferma di una strategia sfacciata: fare della Sicilia il cesso ultimo delle illusioni. Quelle di più stretta urgenza. (dal Fatto quotidiano)