Ha volato alto quest’anno il Premio Acqui Storia. Da molte edizioni, ormai, il più importante riconoscimento nazionale per la letteratura storica scientifica e divulgativa, promosso dal benemerito assessore alla cultura del comune Carlo Sburlati, ha contribuito con la sua formula di coniugare il rigore accademico con momenti di leggerezza e simpatia mediatica a far entrare la Storia nelle prime pagine di giornali e televisioni, invertendo così una tendenza che relegava questa disciplina alla polvere degli scaffali o ai casi creati a tavolino dagli uffici stampa dei grandi editori.
Questa edizione – a cui hanno partecipato oltre 170 titoli – si è caratterizzata invece per una accentuazione del suo aspetto più culturale e – per l’appunto – alto. Il dibattito con i vincitori della 48a edizione e la successiva premiazione hanno riservato al pubblico spunti di riflessione profondi e a tratti anche stimolanti, controversi e polemici. La religione è stato uno dei leitmotiv che hanno collegato le interviste – tenute da Mauro Mazza, già direttore del TG2 e poi di RaiUno assieme ad Antonia Varini di “Uno Mattina” – dal problema del rapporto con l’Islam evidenziato da Franco Cardini (vincitore per la sezione storico-divulgativa) e da un incontenibile Pietrangelo Buttafuoco (premiato come “Testimone del Tempo”) a quello del sottile legame fra tradizioni pagane ancestrali e moderno anticlericalismo di protesta e anarchico emerso dalle vicende personali dell’irpina Licia Giaquinto, vincitrice del premio per il romanzo storico con una storia di brigantaggio postunitario. Ma anche la orgogliosa rivendicazioni delle proprie origini ebraiche fatta da Luca Barbareschi (che ha ritirato il premio come “Testimone per l’Ambiente”) mentre contemporaneamente tributava un deciso elogio della Riforma Gentile, un accostamento che avrà fatto saltare sulla sedia più di un benpensante del politicamente corretto.
Temi scottanti, quelli della religione, che hanno anche suscitato una partecipazione del pubblico. Ma non meno profondi sono stati gli argomenti toccati dagli altri ospiti: lo storico Giuseppe Galasso, premiato alla carriera, e la psicopedagogista Maria Rita Parsi, anche lei “Testimone del Tempo”, hanno entrambi richiamato alla necessità della formazione dei formatori e delle radici culturali necessarie per chi ha l’incarico di educare. Radici che oggi la progressiva cancellazione della cultura classica dalle nostre scuole sta mettendo seriamente a repentaglio. Più sfuggente è stato Galasso a una domanda diretta di Mazza sul problema della “teoria del gender”, che ha liquidato senza impegnarsi su quel fronte, mentre da un lato si è riagganciato ai problemi di attualità estera toccati da Cardini e Buttafuoco sulla situazione mediorientale, indubbia responsabilità dell’Occidente, deprecando in controtendenza la tendenza europea a chiedere scusa ogni tre-per-due per veri o presunti crimini del passato, ma cedendo poi allo spirito dei tempi quando ha invocato la necessità dell’immigrazione per supplire ai problemi demografici dell’Europa.
L’eleganza di ospiti come Italo Cucci, forse il massimo giornalista sportivo italiano, e Antonio Patuelli, direttore dell’ABI, entrambi “Testimoni del Tempo”, Antonio De Rossi, vincitore per la sezione storico-scientifica per uno studio sull’arco alpino, di Paolo Isotta, critico musicale e storica firma del “Corriere”, vincitore per la sezione storico-divulgativa, hanno invece avuto come filo conduttore il devastante confronto fra il passato e il presente. Invertendo la moda di giudicare la Storia col metro della contemporaneità, è sufficiente il racconto di esperienze passate – il buon giornalismo ricordato da Cucci, la buona politica ricordata da Patuelli, le buone opere pubbliche ricordate da De Rossi – per obbligare a una riflessione sullo stato in cui versa oggi il nostro paese in ogni ambito. Una condizione drammatica, che condanna l’Italia a una insignificanza dopo secoli in cui è stata il faro della civiltà, riassunta metaforicamente dalla risposta di Paolo Isotta: pungolato da Mazza su uno dei “miti” della musica pop recente, “Il Volo”, il graffiante testimone di cinquant’anni di storia musicale italiana, ha liquidato il presente con un “chi?”. Cassazione.