E se la «generazione sbagliata e sempre perdente», come sostiene la quarta di copertina, fosse invece la versione di destra de «La meglio gioventù»? Di certo Angelo Mellone, dirigente Rai e scrittore, fa i conti e non fa sconti a questa che è la sua generazione: quella dei (post)fascisti non solo senza Mussolini ma senza nemmeno più il partito, quel Movimento sociale italiano col cui immaginario arredare i sogni – unica ipotesi possibile ai tempi – di rivoluzione «nazionale». «Nessuna croce manca» (Baldini & Castoldi pp. 323 €16) è una testimonianza dal campo per capire come si è passati dagli «esuli in patria» agli apolidi a destra. Dalle catacombe ai ministeri per finire poi nella diaspora, nella dispersione di un’intera comunità: c’è tutto il milieu della destra nata e cresciuta negli anni del disincanto di fine anni ’80 e spiaggiata negli anni ’10 del terzo millennio in questo romanzo di formazione dell’ex militante del Fronte della Gioventù tarantino ieri e irregolare performer della destra che non c’è oggi. Protagonisti sono quattro amici, adolescenti, entrati in provincia «dalla porta sbagliata», parafrasando in libertà Massimo Morsello, ossia quella di una sezione del Msi. La Prima repubblica è agli sgoccioli, ma loro non lo sanno. La lotta allo stadio, nelle scuole, nelle strade sotto la bandiera della Fiamma e la fiaccola del Fuan scorre contro i nemici di sempre, il «regime» della Dc e l’antifascismo dei «compagni»: una battaglia impari e per questo più ribellistica ed estetica che strategica. La frattura arriva nel novembre 1989: con la caduta del Muro di Berlino. E con questo matura il sogno della comitiva di camerati di partecipare al crollo del comunismo, di respirare «le strade d’Europa» per dare un senso alle mille cause stampate sul ciclostile: «Andiamo a Berlino». Un viaggio sgangherato, su un’automobile improbabile, finito non a caso a poche centinaia di chilometri da Taranto. E se il viaggio abortito non è solo un efficace espediente narrativo e una metafora azzeccata, ma una storia vera, è qui che si innesta il solco tra il piano onirico e la realtà. A percorrerlo questo viaggio sono i personaggi-caratteristi del romanzo – una «Compagnia dell’anello» del XX secolo – i cui tratti aiutano a entrare tra le maglie di una tribù che ancora oggi i politologi faticano a inquadrare per alcuni tratti irriducibili alle nevrosi à la page: Claudio, il leader in pectore che diventerà politico. Dindo, il ribelle che si trasforma in intellò, Gorgo, figlia d’arte e giovane vittima della tempesta ormonale. E poi c’è Chiodo, l’ultrà e skin-punk che diventerà il vero custode della «fiamma», del legame. Accanto a questi ruota la Storia, tutt’altro che lineare e «ottimistica» nel percorso: il crollo del socialismo reale, Tangentopoli, l’avvento di Berlusconi, la conquista di Roma del Pdl e la «sospensione» democratica del governo Monti. Parallela è la storia nella storia, ossia l’evoluzione e la destituzione della destra politica: dall’orgogliosa e impolitica testimonianza missina all’occasione della storia con la vittoria, impensabile, alle Politiche del ’94 dopo il miracolo dei ballottaggi di Roma (con Fini) e Napoli del ’93. Da qui la «svolta di Fiuggi» con la nascita di Alleanza nazionale (un dramma caleidoscopico il cui racconto è tra le pagine migliori del libro, la cui scrittura scorre a immagini come un docudrama), il percorso della destra di governo fino allo scioglimento dentro il Pdl e l’implosione della «differenza» tra le dune della diaspora. Sull’intreccio di questi due piani e in questo arco di tempo le divaricazioni tra i protagonisti si fanno via via sempre più profonde: piano politico e piano privato si mescolano, «tradimenti» e «velleità» si rinfacciano reciprocamente e le piccole tragedie personali si innestano nel dramma collettivo di una comunità che, buttato il bambino con l’acqua sporca, alla prova dei fatti si era ritrovata qui: «Che merda era – lamenta uno dei protagonisti -. I moderati. I responsabili. Tutto quel bordello avevano scatenato, e dovevano finire moderati, e conservatori, o maggiordomi delle troie». Da che cosa è stata determinata, allora, questa sconfitta? Non da una guerra, certo. E nemmeno da una ridotta della guerra civile come avvenne negli anni ’70. Il trauma qui non è la sconfitta storica di una «rivoluzione». Ma lo schianto politico di una generazione fagocitata sì dal crollo delle ideologie ma anche dalla fine delle narrazioni. Eppure credevano: alla possibilità di un’Italia con onore, all’Europa nazione, alla giustizia sociale. «Ci credevamo e basta», spiegano. E alla fine vent’anni dopo il cerchio, come i quattro punti della croce celtica cara alla loro gioventù, si ricompone. La «Compagnia», in un certo senso, si rimette in viaggio. Viaggiano leggeri, come gli hobbit di Tolkien ma senza il peso di una missione. Dopo essere stati preda delle «battaglie così lontane» adesso vanno a caccia di sé stessi.
*”Nessuna croce manca” di Angelo Mellone (Baldini & Castoldi, pp. 323 €16)