Forse l’aforisma più calzante per Lawrence Ferlinghetti, l’ha scritto un altro scrittore, il sudamericano Nicolás Gómez Dávila: “Oggi non esiste nessuno per cui lottare, ma soltanto qualcuno contro cui lottare”. E Ferlinghetti, che è uno dei maggiori poeti americani viventi, nato nel 1919 a a Yonkers, New York, da padre italiano e madre franco-portoghese – ed è in fondo un anarchico – in tutta la sua vita ha lottato contro le convenzioni sociali e letterarie, contro i potenti di turno, contro un modo borghese di intendere la vita e l’arte.
“Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
(…)
Gli alberi stanno ancora cadendo
E non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
(…)
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.”
(da Per i Poeti, con Amore)
Poeta, editore, pittore, anima del cosiddetto rinascimento poetico di San Francisco negli anni ’50 e ispiratore insieme a Kerouac, Corso, Ginsberg della beat generation Lawrence Ferlinghetti crede nella poesia come strumento di illuminazione, presa di coscienza collettiva, critica sociale e politica. Artista militante, oggi diremmo “populista”, mescola impegno civile e lirismo, la condanna delle storture e delle brutture della società capitalistica all’ansia di riscatto del popolo. Dice di sé “tutto ciò che volevo fare era dipingere luce sui muri della vita”. Tra le sue tante poetiche definizioni della poesia riportiamo questa: “la poesia tiene a bada la morte”. La morte cui allude il poeta non è solo quella fisica, individuale, ma anche quella di una società dove gli uomini sono sempre più sofferenti e disorientati.