La politica italiana è il teatro dell’assurdo sul cui palco ruotano personaggi improvvisati e comparse trascurabili. Sappiamo tutti, da mesi, che Matteo Renzi appartiene a un’altra specie, quella dei leader che faranno la Terza repubblica una volta che, speriamo il prima possibile, i sepolcri imbiancati, luminescenti, liftati e forforosi della seconda si saranno accomodati ai giardinetti o sul divanetto di casa.
Renzi è smart, è giustamente ambizioso, e ha la prima ambizione di farsi poster boy della generazione dei 30-40enni: obiettivo legittimo che, se fosse già diventato una candidatura, avrebbe costretto anche il centrodestra a un salto generazionale e probabilmente avrebbe contenuto l’exploit del Movimento 5 Stelle entro limiti accettabili. Invece Matteo è ancora affacciato sul suo terrazzino di Palazzo Vecchio ad aspettare che, nello spazio stretto dei saggi e dell’elezione del presidente della Repubblica, si consumino ancora i riti ormai incomprensibili della politica di Palazzo Antico e, con essi, i personaggi di questa commedia diventata stucchevole.
Matteo scalcia e freme, ma non lo dà troppo a vedere, nemmeno nell’intervista rilasciata stamane al “Corriere della Sera”. Se deve prendere una posizione, plana su terreni morbidi e di facile cattura per l’opinione pubblica (vedi la proposta di abolizione del finanziamento pubblico dei partiti). Intanto, costruisce la rete di classe dirigente che, nell’eventualità di rinnovo elettorale ravvicinato, dovrebbe sostenerlo e accompagnarlo in una probabilissima vittoria. Che, diciamocelo, sarebbe salutare per l’intero sistema politico, perché costringerebbe e forzerebbe partiti e movimenti a fare un po’ di pulizia generazionale, presentare volti nuovi, svecchiare apparati e aggiornare le agende politiche sull’orologio della storia.
Ci siamo chiesti su Barbadillo perché non c’è ancora un vero Renzi di destra, sapendo già la risposta e sapendo che è tanto facile quanto triste. Adesso ci accontentiamo di tifare Matteo per una sana, salutare, rigenerante rivolta di chi questa crisi – politica, sociale, economica, antropologica, nazionale – la subisce pur non avendola creata, e chiede il giusto spazio nella gestione degli affari pubblici. Per il resto, ci sarà tempo.
@AngeloMellone