Alain de Benoist, saggista e filosofo, è ben noto al pubblico italiano. Dapprima animatore del GRECE e della cosiddetta Nouvelle Droite, definizione nella quale, per la verità, non si è mai riconosciuto del tutto, ha pubblicato oltre 50 libri e più di 3000 articoli, tradotti in 15 lingue. Il suo iter speculativo, assai articolato, gli ha concesso di acquisire strumenti diagnostici ed esegetici, che pochi altri studiosi del nostro tempo possono vantare, rispetto alla modernità e ai problemi delle società contemporanee. Attualmente, le sue posizioni di pensiero possono essere così riassunte:
1) Critica congiunta di ogni forma di individualismo e di universalismo e dei nazionalismi etnocentrici, in quanto forme ideali prodotte dalla metafisica della soggettività;
2) sistematica decostruzione della ragione mercantile e delle molteplici nefaste influenze esercitate dalla Forma-Capitale;
3) lotta in favore delle autonomie locali, fondata sulla difesa delle differenze e delle identità collettive;
4) difesa di un federalismo realmente costruito sul principio di sussidiarietà.
Dirige i periodici Krisis e Nouvelle Ecole. In Italia ha recentemente pubblicato per i tipi di Controcorrente, I demoni del bene. Dal Nuovo ordine morale all’ideologia di genere e, sullo stesso tema, ha tenuto una relazione al recente Convegno romano, “L’era del post umano. Tecnica, ideologia e società del XXI secolo”, organizzato dal Circolo Proudhon e dalla rivista L’intellettuale dissidente. Su alcuni aspetti rilevanti della suo pensiero ci ha concesso, per i lettori di “Tradizione”, la breve intervista che segue, estremamente stimolante per individuare i rischi impliciti nella società contemporanea. Lo ringraziamo sentitamente della cortesia dimostrata.
De Benoist, a più riprese Lei ha parlato del fenomeno della “colonizzazione dell’immaginario” prodotta dalla Forma-Capitale. In sintesi, in cosa consiste?
“E’ stato Serge Latouche che, per primo, ha parlato di “colonizzazione” dell’ immaginario simbolico per indicare l’invasione e il condizionamento degli spiriti da parte dei valori mercantili. Nell’epoca moderna, l’affermazione dell’individualismo borghese si è accompagnato all’espansione del capitalismo liberale, che ne è stato il principale strumento di diffusione. Ora, il capitalismo non è soltanto un sistema economico, ma è anche latore di un’antropologia: non concepisce in effetti l’uomo che come Homo oeconomicus, produttore-consumatore la cui esistenza è protesa a massimizzare in modo egoistico il suo non limitabile interesse materiale. In tale prospettiva, cioè quella dell’assiomatica dell’interesse, i componenti di una stessa società non sono più vincolati gli uni agli altri che dal contratto giuridico o dallo scambio mercantile. Questa “reificazione” (Verdinglichung) dei rapporti sociali, che Karl Marx aveva così bene anticipato, si sviluppa di pari passo con l’idea che “l’economia, è il destino”. Mentre tutti gli ambiti dell’esistenza, compresi quelli che un tempo vi si sottraevano almeno in parte (la terra, il lavoro, lo sport, l’arte, la cultura etc.), si sono progressivamente mercantilizzati, vale dire è stata loro imposta la sola legge della resa economica e del profitto, tutti i valori umani che non sono quantificabili cedono il passo al valore di scambio. L’economia considerata (a torto) come una scienza, può allora pervadere il mondo del pensiero.
La Forma-Capitale mette in vendita dei prodotti solo per riprodursi, cioè per accrescere la propria dimensione quantitativa senza alcuna considerazione di possibili limiti. Essa può così essere definita quale auto valorizzazione del profitto in una prospettiva illimitata. La novità del capitalismo fa si che tutte le cose, in esso, si trasformino in merci – a cominciare dall’uomo stesso, ridotto a vendersi sul “mercato del lavoro”. Ora, produrre per il mercato, significa produrre per un campo d’equivalenza ove ogni cosa vale l’altra, in quanto il valore è stato ridotto all’unità monetaria. L’immaginario simbolico, così “colonizzato”, diviene strettamente dipendente dal sistema del denaro, nel quale è possibile leggere la forma aggiornata del regno della quantità”.
La ragione mercantile tende a presentare lo stato attuale delle cose come invalicabile, la società dei consumi come il migliore dei mondi possibili e la “fine della storia” quale orizzonte esistenziale definitivo per l’ultimo uomo. Cosa pensa di tale rappresentazione della realtà?
“La maggior parte degli storicismi moderni, a partire dall’ideologia del progresso, postulano che la storia umana sia votata a concludersi in una fase terminale, verso la quale sarebbero incamminate necessariamente tutte le culture. Per altri liberali, tale stadio terminale si confonde con il regno planetario del mercato, considerato sistema autoregolatore ed autoregolato. Quando il mercato, avrà fornito la prova della propria superiorità assoluta, la storia recederà. E’ in tale ottica che si situò Francis Fukuyama quando annunciò la “fine della storia” per il solo motivo che dopo l’implosione del sistema sovietico, il mondo occidentale aveva perso il suo principale competitore. Ben inteso, la storia si è rapidamente ripresa i suoi diritti. Si è allora realizzato un periodo di transizione, un Zwischenzeit, dal quale oggi non siamo ancora usciti, ma che annuncia con tutta evidenza il darsi di un nuovo “Nomos della terra”, per dirla con Carl Schmitt.
Sfortunatamente, l’ideologia dominante continua a pensare che lo stato attuale delle cose sia più o meno insuperabile. Essa non sostiene che viviamo indubitabilmente nel migliore dei mondi possibili, ma che nonostante i difetti del mondo attuale (che si spera di poter progressivamente emendare), non sia più possibile realizzare un nuovo tipo di società. Ogni tentativo rivoluzionario, e non più soltanto riformista, condurrebbe al peggio (il “totalitarismo”) o equivarrebbe ad un “ritorno al passato”. Tale posizione è assai paradossale: l’ideologia del progresso non ha smesso di idolatrare il novum, ma tende ormai a rifiutare l’idea della novità radicale! Per fare un confronto con l’ideologie messianiche, l’ideologia progressista considera che il Regno non sia da porsi ancora nell’avvenire, ma che si sia già realizzato. I nostri contemporanei non sono molto felici nel mondo attuale, ma vivono schiacciati dall’orizzonte della fatalità, dell’inevitabilità. Bisogna che comprendano che la storia non è finita”.
Per Lei la storia è dunque inesausta apertura. In quali termini la sua valorizzazione dell’idea sferica della temporalità dipende dalla opzione “pagana” che ha caratterizzato la sue posizioni speculative fin dagli anni Settanta? E soprattutto, è oggi possibile proseguire nella ricerca di Nuove sintesi ideali su questo specifico tema? Penso in Italia alle posizioni recentemente espresse in un suo libro da Diego Fusaro.
“Dire che la storia è sempre aperta, vuol dire rifiutare il fatalismo storico, sia che tale fatalità sia interpretata come “progresso” necessario o come inevitabile “declino”. La nozione di “senso della storia” scaturisce d’altronde, con tutta evidenza, dalla idea giudaico-cristiana di una storia vettoriale, lineare, con un inizio e una fine assoluti, per il fatto di essere del tutto antitetica alla concezione ciclica o sferica della storia propria dell’antichità europea. Ma la questione delle “nuove sintesi” ha poco a che vedere con la concezione della storia. In campo politico, essa emerge molto più dalla decomposizione della vecchia contrapposizione destra-sinistra, che non corrisponde più a nulla. L’epoca contemporanea non smette, in effetti, di produrre divisioni di tipo trasversale, che attraversano tutte le famiglie politiche ed ideologiche. Tale evoluzione rende possibile dialoghi proficui e l’affermarsi di “nuove sintesi” E’ in questa prospettiva che è necessario collocare le posizioni sostenute in Italia da Diego Fusaro (e prima di lui da Costanzo Preve) e in Francia da Jean-Claude Michéa”.
La società delle “acque basse” nella quale viviamo, per dirla con Cornelius Castoriadis, o dei “narcisi” dell’eterno presente consumistico, è in via di progressiva femminilizzazione. Questo fenomeno quali contraccolpi sociali potrebbe determinare?
“A giusto titolo il movimento femminista ha protestato ai suoi esordi contro la svalutazione dei valori femminili, che spesso è stata al centro delle società patriarcali. Il problema è che attualmente sia precipitati nell’eccesso opposto. A causa di diverse ragioni sociologiche ed economiche, sono i valori maschili e virili -a cominciare dall’autorità, dall’affermazione di sé, dal vincolo tra uomini, etc. – che sono stati via via denigrati e svalutati. Lo stesso Stato è divenuto uno “Stato terapeutico”, come lo definì Cristopher Lasch, una sorta di Big Mother che si consacra sempre più a problemi di gestione, di assistenza, sanitari, etc. L’equilibrio del maschile e del femminile, pertanto, andrebbe restaurato”.
Negli ultimi anni il mondo occidentale ha visto prepotentemente avanzare l’ideologia del genere che nega le identità sessuali. Quali sono i pericoli che essa nasconde e quali contromisure adottare per riuscire a scongiurarli?
“La teoria del genere è una teoria che pretende che l’identità sessuale non dipenda in nulla dal sesso nel senso biologico del termine, ma solo dai ruoli sociali attribuiti agli individui dall’educazione e dalla cultura. Se ne deduce che l’individuo sarebbe alla nascita sessualmente “neutro”: sarebbe sufficiente educare un bambino come una bambina per farne una femminuccia, o educare come un fanciullo una bambina per farne un maschietto. L’idea sottesa a tale argomentare rinvia a un essere indifferenziato. Ciò che bisogna rimproverare alla teoria del genere, non è di aver distinto il sesso biologico dalla costruzione dell’identità maschile e femminile, ma di credere che non ci sia alcun rapporto stretto tra il primo e le seconde, e che tutto ciò che comunemente viene considerato come maschile e femminile, si manifesti in un “genere” sconnesso dal sesso biologico. La costruzione sociale è certo onnipresente nelle società umane, ma non si realizza mai a partire dal nulla”.
Infine e per concludere. E’ possibile a suo giudizio parlare di “terzo” sesso?
“L’espressione “terzo sesso” è una semplice metafora letteraria. In senso stretto, non ci sono che due sessi: da una parte gli uomini, dall’altra le donne. I gay e le lesbiche sono anch’essi degli uomini e delle donne dal punto di vista del sesso biologico. Qualificare l’omosessualità come “terzo sesso”, significa quindi confondere l’orientamento sessuale con il sesso. Esistono molte pratiche, orientamenti e preferenze sessuali, sulle quali a mio avviso non c’è bisogno di articolare un giudizio morale, ma non ci sono che due soli sessi. La molteplicità delle preferenze sessuali non elimina i sessi biologici e non ne aumenta il numero. L’orientamento sessuale, qualunque sia, non mette in discussione il corpo sessuato”. (dalla rivista Tradizione)