Tempo di Pasqua, di Resurrezione. Ma prima di risorgere, Gesù muore in croce. E prima di morire, patisce sofferenze immani, indescrivibili, che lasciano segni. Stigmate. Ferite che fecero la loro ricomparsa sulle mani di San Francesco d’Assisi e poi di altri esseri umani, veri segni di contraddizione e pietre d’inciampo per l’ideologia illuminista moderna e postmoderna. La stessa Chiesa cattolica pare talvolta provare imbarazzo per gli stigmatizzati, come ci ha raccontato qualche anno fa Antonio Socci nel suo bel saggio su Padre Pio. Il frate di Pietrelcina subì quasi una persecuzione da parte di alcuni ecclesiastici che non si fidavano delle stigmate medioevali comparse in pieno secolo XX. Alla necessaria cautela nel valutare i fenomeni mistici si aggiunse forse un tocco da Grande Inquisitore, quello uscito dalla penna di Dostoevskij: la Chiesa, la cristianità, non avrebbero bisogno di nuovi mistici, ma di dogmi e controllo sulla vita dei fedeli. Il tempo ha però fatto giustizia, Padre Pio è santo. Rimangono però il legittimo scetticismo di atei ed agnostici e le ironie stanche e sciocche degli anti-clericali o anti-cristiani per partito preso.
Ed ora, nel terzo millennio, c’è ancora spazio per le stigmate? Possiamo archiviarle come fenomeno, reale o presunto, del passato? Parrebbe di no, a giudicare la storia di Judith von Halle. Si tratta di una signora berlinese, quarantenne, che dal Venerdì Santo del 2004 sperimenta nel corpo e nell’anima la Passione di Gesù Cristo. Per essere più chiari, ogni venerdì di ogni settimana, le stigmate appaiono sul suo corpo, negli stessi punti che possiamo vedere nel corpo del Cristo risorto dipinto da Matthias Grünewald nella pale d’altare di Isenheim. Inoltre nel corso di ogni Settimana Santa la von Halle è come trasportata nella Palestina di 2000 anni fa e può assistere alla passione di Cristo, dall’ultima cena alla resurrezione, comprese ovviamente morte sul Golgota e discesa agli inferi. Se le stigmate sono evidenti al punto che anche la scienza e la stampa tedesca hanno dovuto ammetterlo (le ferite non si rimarginano né si infettano), sono leciti i dubbi sul “viaggio astrale” che Judith von Halle compie ogni anno, come sui poteri che pare abbia acquisito (sentire voci lontane anche migliaia di chilometri, ad esempio). Ma si aggiunge un altro elemento, verificato scientificamente: da quella Pasqua del 2004, la signora non ingerisce cibo, non riesce e non ne ha alcun bisogno. Tollera solo un poco di acqua ogni tanto. Eppure non ha perso peso, continua a vivere e a lavorare come architetto. Chi conosce un poco il mondo orientale sa che esistono casi, anche questi ben documentati e monitorati, di santoni indiani o monaci buddisti che non ingeriscono cibo ma sembrano vivere di sola luce, come Judith von Halle. Eppure si tratta spesso di uomini che si sono sottoposti ad un duro allenamento a base di yoga e meditazione. Pratiche, ricordiamolo, non estranee alla mistica cristiana dei primi secoli. Però la signora tedesca non ha alle spalle un tirocinio di questo tipo, prima del 2004 era anzi un’amante della buona tavola. Tutto le sembra capitato senza che l’abbia cercato. Certo, studiando la sua vita prima e dopo l’apparizione delle stigmate qualche indizio lo troviamo, ma anche ulteriori segni di contraddizione.
Procediamo con ordine: Judith von Halle è nata nel 1972 a Berlino, da genitori ebrei, ha vissuto in Israele e negli Usa, durante l’infanzia ha avuto esperienze sovrasensibli, presto dimenticate. Ha poi studiato, per sua scelta consapevole, in una scuola cattolica, retta da Gesuiti. A venticinque anni si imbatte in un libro di Rudolf Steiner, rimembra le esperienze mistiche dell’infanzia e decide di entrare in contatto con la Società Antroposofica da lui fondata. In poco tempo diventa una stimata conferenziera nel circolo antroposofico berlinese, affrontando soprattutto i rapporti fra le feste ebraiche e quelle cristiane. E poi, in quel fatidico 2004, le stigmate, i viaggi nella Gerusalemme della Passione cristica, i poteri che per comodità si dicono “paranormali”, la dieta obbligata. Ed ovviamente gli imbarazzi: come dire al marito quello che le sta accadendo? ai colleghi di lavoro? e soprattutto agli antroposofi! La “scienza dello spirito” comunicata da Steiner intende appunto studiare il mondo spirituale con mezzi puramente scientifici, oggettivi. Viene considerata una moderna via di comprensione del cristianesimo, ma non lascia molto spazio a cose come le stigmate. Steiner non ha certo negato la possibilità della loro comparsa, ma dopo un doloroso ed impegnativo cammino di meditazione, sconsigliato alla gran parte dei contemporanei, o meglio da sostituire con pratiche meno devastanti. Alla fine Judith von Halle decide di svelare agli steineriani il profondo cambiamento avvenuto nella sua vita e le esperienze di comunione con Cristo. Non tutti reagiscono bene, molti non riescono ad accettare un fatto così sconvolgente, non previsto nella situazione spirituale dell’umanità attuale. Addirittura i vertici della Società Antroposofica la attaccano pubblicamente e il circolo berlinese decide la sua espulsione. Ne consegue una scissione fra antroposofi, poiché sono molti quelli che le danno fiducia o quantomeno sospendono prudentemente ogni giudizio. La stigmatizzata del terzo millennio, la prima di origine ebraica e di confessione non cattolica, diventa così segno di contraddizione, pietra d’inciampo. Lei decide di continuare la sua attività di conferenziera e scrive diversi libri (per ora in italiano sono disponibili “E se lui non fosse risorto…” commento al mistero del Golgota pubblicato dalla Aedel edizioni di Torino, e “L’incontrare il Cristo oggi e lo spirito del Goetheanum” per le edizioni Cambiamenti di Bologna: vivamente consigliati anche a chi non mastica antroposofia).
È notizia recente la riappacificazione, dopo anni di studi ed esami, fra la von Halle e la Società Antroposofica ufficiale. Inoltre è appena uscito in tedesco il suo ultimo saggio, su Anna Katharina Emmerick: stigmatizzata e veggente dell’800 con la quale condivide questo particolare destino, questa missione.
Ovviamente possiamo dubitare di tutta la storia di Judith von Halle, anche se chi ha avuto il piacere di incontrarla sostiene che ci si trova al cospetto di un’individualità che trasuda carismi e buona fede. Quello che deve colpirci e farci interrogare è ancora una volta il mistero cristiano della morte e resurrezione di Gesù Cristo. Perché, come ci ammonisce la von Halle citando San Paolo, “se lui non fosse risorto, la vostra fede sarebbe vana”.