Manifestare. O non manifestare. Questo è il problema. Si agita la galassia cattolica, in vista della manifestazione di Roma del 20 giugno. Una galassia disabituata al linguaggio muscolare della “piazza”, e che in assenza di una linea da parte della Conferenza Episcopale (linea invece aveva dettata con chiarezza nel ruiniano Family Day dell’ormai lontanissimo 2007) si presenta oggi un po’ disunita e senza una chiara leadership. Sottoponendo così movimenti e associazioni ad un difficile test di resistenza.
Il 20 giugno a Roma come chiave di volta della battaglia pro family e anti-gender: questa è la linea sostenuta da chi ha voluto la manifestazione di Piazza San Giovanni. In mancanza della capacità di tessitura e di proposta politica, che fu la cifra (e per alcuni anche il limite) dell’era Ruini, sembra essere restato sul campo soltanto il tentativo di alcuni di assestare una sonora spallata all’albero dell’associazionismo cattolico, per provare a fare cadere quanti più frutti possibili. E tra i cattolici è tutto un discutere, distinguere, chiarire. Così mentre i Neocatecumenali di Kiko Arguello decidono di partecipare in massa (e sono tanti), il resto dei grandi Movimenti e associazioni si è smarcato strada facendo.
A far rumore è stato soprattutto il documento con cui Comunione e Liberazione ha spiegato ai suoi aderenti i motivi della mancata adesione del Movimento all’adunata romana. Una nota in realtà diffusa ad intra, ma divenuta immediatamente (e rumorosamente) pubblica, come forse era inevitabile. Lasciamo volentieri ad altri la valutazione su questa netta presa di posizione – probabilmente inedita nella storia di CL – che ha di fatto sconsigliato ai propri aderenti la partecipazione (pur lasciandoli liberi di decidere personalmente). Quel che interessa è discutere qui di ciò che è accaduto dopo l’uscita di quel documento. Del dibattito che ne è nato.
C’è chi, come Costanza Miriano, ha lavorato di fioretto, ricamando una letterina melodiosa e piena di buone intenzioni, per giungere però a blandire il popolo ciellino con un “Sono certa che anche rispetto alla nota eserciterete il giudizio e l’intelligenza che forse sono la più grande eredità che vi ha lasciato don Giussani”. Come dire: il Movimento vi dice di non venire, ma venite lo stesso. Niente male per l’autrice di un libro intitolato “Obbedire è meglio”.
C’è poi chi ha deciso di usare la clava, nel tentativo più o meno manifesto di delegittimare “da destra” (cattolica) la pur legittima e motivata posizione di CL, con armi retoriche e dialettiche che a prima vista sembrano nascondere un tic piuttosto diffuso nel repertorio delle ideologie. Sintetizzando, da più parti (soprattutto in modo semi-ufficiale, ma pervasivo, come ad esempio sui social network) si è provato a sostenere questa equazione: chi non partecipa al nuovo Family Day romano è un imborghesito, un imboscato. O addirittura uno che si è arreso, un senza palle, insomma.
Si tratta di una formuletta evergreen, perché capace di ridurre la complessità di scelte le cui origini sono in realtà ben più articolate e dinamiche. La delegittimazione del “dissidente”, prontamente accusato di intelligenza con il nemico, è in effetti un topos tipico, una semplificazione teorica e pratica, che si porta dietro un vizio tipico dell’ideologia (di destra, ma non solo): l’allergia alla complessità. Le spiegazioni della realtà devono essere semplici, perché l’illuminato è sempre capace di trovare la causa prima, sempre rintracciabile non nelle spiegazioni ufficiali me nel campo dell’indicibile e del nascondimento. La realtà, ridotta così ad uno schema semplice da codificare, non permette più dubbi: o sei con me, o sei contro di me. E, quel che è peggio: se non fai quello che io ho deciso di fare, se non porti la battaglia sul campo che io ho deciso essere quello decisivo, vuol dire che ti sei arreso.
Se mezzi e fini coincidono, chi non si adegua ai mezzi decisi dall’avanguardia movimentista (la prova di forza per spingere la politica a cambiare rotta sui temi della famiglia, del gender, delle unioni omosessuali), in fondo in fondo non crede neppure alla bontà della battaglia. E dunque, fa semplicemente il gioco del nemico. La qual cosa è più che sufficiente per stilare, più o meno esplicitamente, una lista di buoni (quelli che andranno a Roma, meglio se in aperta polemica con la linea decisa dalla leadership di CL) e di cattivi (quelli che invece non ci andranno, per definizione clericali acriticamente proni di fronte ai voleri dei superiori). O di derubricare la scelta di CL a sintomo di una ormai avvenuta “scelta religiosa”, di un riflusso intimistico, di una definitiva perdita di riferimenti alla propria origine.
Insomma, la linea del destino per molti manifestanti (probabilmente minoritari, ma comunque influenti) sembra passare da qui: o la piazza (San Giovanni), o il tradimento. Tertium non datur.