Manifs pour Tous Italia il 20 giugno scende in piazza a Roma con una manifestazione nazionale a difesa della famiglia e dei valori. Ecco un intervento che spiega i temi dell’evento.
La cosiddetta “ideologia gender” rappresenta per certi versi l’approdo finale di un processo disgregatore che va avanti pressoché indisturbato, ormai, da diversi decenni. Le responsabilità sono diverse e condivise, sebbene sia pur vero che chi ha operato per la sua diffusione in alcuni settori della nostra società, lo ha fatto agendo nell’ombra e quasi in segreto, guardandosi bene dal presentarla apertamente all’opinione pubblica, senza dubbio consapevole che sarebbe stata rigettata. Mi viene da aggiungere, tuttavia, che le responsabilità sono anche di un mondo politico, e di una connessa cultura, che colpevolmente hanno lasciato campo libero ai profeti di quell’imperialismo culturale che, sotto mentite spoglie, sconfitto su altri campi, adesso pretende di “trapiantare” la propria azione su un altro terreno, quello antropologico, abbandonando forse definitivamente quello sociale.
La conseguenza è che la sfida che ci attende non può più essere gestita con i classici tempi della politica ma, da emergenza qual è, necessita non solo di una riflessione culturale ma anche di una presa di posizione concreta e immediata. Potrebbe essere il punto di partenza per ricostruire un progetto politico – quella della destra sociale, s’intende – finalmente libero da ogni possibile equivoco liberale e liberista e teso, in primo luogo, a fermare quel processo disgregatore di cui sopra. La sfida, tutta culturale, è, dunque, epocale perché a confrontarsi sono due visioni diametralmente opposte e, oserei dire, inconciliabili, dell’Uomo, della Vita e della Civiltà: quella etica e spirituale, da un lato, e quella economica e mercatistica, dall’altro.
L’ideologia mercatistica e materialista, figlia del capitalismo e di cui il gender è ampia espressione, punta a un reale sovvertimento non solo della naturale dimensione antropologia dell’individuo, per come si è sviluppata nel corso dei millenni, ma anche al sovvertimento della sua dimensione etico-spirituale e, di conseguenza, alla successiva destrutturazione del mondo reale. Secondo questa inaccettabile impostazione, in breve, non esisterebbero uomini e donne come esseri dotati di corpo e mente, materia e spirito, con connessa capacità di autocoscienza e relazionalità, ma solo – per dirla alla Diego Fusaro – monadi individuali di consumo. Uomini e donne sono, cosi, ridotti a essere nientemeno che produttori e consumatori, contenitori vuoti, la cui dignità viene considerata solo ed esclusivamente in funzione della capacità di produrre e consumare. Esisterebbero, pertanto, diversi livelli di soggettività e dignità della persona umana (umana?) in base a tale capacità, nonché alla quantità di beni che si è in grado di produrre e consumare. Diventa facile intuire, pertanto, che la direzione verso la quale muovono i grandi mezzi di comunicazione e i centri di (accumulo di) ricchezza e potere non può che essere quella che porta a determinare la fragilità e l’isolamento dell’essere umano. Fragilità perché quanto più l’individuo è fragile – e confuso – tanto più può essere manipolato e condizionato per interessi puramente economici, sino all’infinito, dalle grandi campagne pubblicitarie e di marketing dei soliti gruppi economici e finanziari; isolamento perché quanto più è isolato tanto più sarà indifeso e in balia del mercato.
L’ideologia gender si inserisce proprio all’interno di questo perverso meccanismo e diventa un prepotente mezzo culturale di indottrinamento e colonizzazione ideologica. Sostenere che si è maschi e femmine non in base al dato naturale ma in base al dato culturale e che essere uomini e donne è frutto di una scelta personale e culturale, del tutto slegata dal sesso biologico, tra l’altro senza alcun fondamento scientifico, significa voler sferrare un attacco pericoloso alle fondamenta dell’identità dell’essere umano, utilizzando come cavalli di troia la lotta alle discriminazioni e la battaglia in favore dell’ambiguo concetto dell’identità di genere. Per non tacere poi dell’idea di “genere fluido” in virtù del quale si può scegliere cosa essere più e più volte nel corso della propria vita. Ecco perché l’ideologia gender è uno strumento diretto a rendere l’identità umana infinitamente mutevole e fragile e, di conseguenza l’Uomo – infinitamente manipolabile in base alle esigenze economiche del momento – una sorta di contenitore vuoto riempibile di qualsiasi contenuto. Un contenuto che, tuttavia, corrisponderà nientemeno che a una identità corrotta da quel mercato che, per fini lucrativi, riduce l’Uomo – e finanche i bambini prodotti in laboratorio attraverso la pratica dell’utero in affitto e il commercio di ovuli e spermatozoi, nascondendo il giri di miliardi che si nasconde dietro queste attività – a forma merce, quindi oggetti e/o prodotti che possono essere venduti e comprati o scartati. È il ritorno alla schiavitù, in poche parole.
Non meno importante è il traguardo dell’isolamento che, oggi, si tenta di raggiungere attraverso l’esaltazione dell’iper individualismo, da un lato, e la distruzione di ogni forma di comunità etica, dall’altro. E qual è la prima comunità all’interno della quale l’individuo nasce, cresce e scopre se stesso e la propria naturale dimensione antropologica in un’ottica relazionale? Quella famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna, quindi su legami forti e difficili da scardinare, e portatrice di quella coscienza e di quella cultura critica che pone il senso del limite, della ragionevolezza e, soprattutto della responsabilità e del risparmio, chiari ostacoli alla società dei consumi e del godere illimitatamente e irresponsabilmente. Oggi lo strumento per indebolire, destrutturare e distruggere la famiglia naturale è rappresentano dalla proposta di legge – il ddl Cirinnà – sulle unioni civili (anche e soprattutto tra persone dello stesso sesso) diretto a creare veri e propri matrimoni di serie b, basati, però, su legami molto fragili e facilmente mutevoli. L’Uomo, in realtà, resta solo e, vittima dell’individualismo cui viene forzosamente ricondotto, col tempo, non è portato a rinnegare non solo ogni forma di legame forte e durevole, ma anche la propria dimensione etica e l’insieme dei valori che rendono stabili e sicuri sia l’Uomo che la Comunità in cui vive, espressa nelle sue varie forme: dalla famiglia allo Stato, passando per la scuola. Il rischio di una vittoria del nichilismo figlio del relativismo è vivere in una sorta di dittatura dell’illusionismo che nega, tentando di sovvertirla, la realtà naturale.
Contro questo percorso disgregatore deve battersi la destra sociale, difendendo la concezione etica e spirituale della vita, nonché la visione comunitaria della vita dell’uomo, con un linguaggio facilmente comprensibile e accattivante. Il primo passo non può che consistere in una sana “controrivoluzione” culturale a difesa dell’Uomo e della civiltà, ponendo al centro della propria azione un richiamo deciso ai valori piuttosto che a concetti improponibili come produttività ed efficienza, consumo e godimento illimitato. Una volta fatto questo passo decisivo, sarà possibile coniugare alla battaglia etica anche quella sociale affinché camminino di pari passo, l’una a completamento dell’altra.
Per tutto questo l’appuntamento “Difendiamo i nostri figli” di sabato 20 giugno a Roma in piazza San Giovanni diventa un’occasione importantissima alla quale gli uomini e le donne di destra non possono mancare!