E’ suggestivo essere quel puntino che luccica, altissimo e supersonico, davanti a una scia. Lo è per chi sta a terra, e lo è ancora di più per chi sta dentro quel piccolo abitacolo, da dove vede tramonti incredibili, aurore fantastiche, stelle brillanti, cielo blu scuro anche di giorno, distese di nuvole oppure un indistinto lenzuolo quadrettato di verde e marrone così giù, così distante…Ti senti forte, invincibile, inviolabile, distaccato. Persino i pensieri e le preoccupazioni restano “fuori”. Vorresti diventare Astronauta, ma non è più il tuo tempo.Allora vorresti descrivere tutto, dipingere tutto, condividere tutto, ma non ne sei capace. Saper condividere emozioni forti infatti è arte di pochi. Gli altri le tengono dentro, inespresse, ma ne restano comunque arricchiti.
Marinetti, Balla, Depero, Fillia, Azari, Prampolini, Tato, Sironi, Dottori e Crali non avevano mai avuto l’opportunità di essere quel puntino che il sole fa luccicare, ma avevano capito, avevano intuito, precorso, e volevano condividere. Ci sono riusciti. Nel loro spirito questi artisti erano divenuti i migliori compagni dell’Aviatore, e solo così, meglio e più dei fotografi, erano riusciti ad essere i più genuini interpreti nel fissare con l’efficacia delle loro opere le sensazioni e le emozioni del volo. Come rovescio della medaglia, va detto che con il loro pennello spesso “parlavano a chi sa”, per cui non tutti, non sempre e non da tutti sono stati considerati e apprezzati come dei veri artisti.
Ma i piloti, e più degli altri, forse, i piloti militari, ancora oggi trovano riflessa nei loro dipinti una parte della loro anima. La Regia Aeronautica, appena nata come forza armata indipendente, era allora sinonimo di novità, di modernità, di tecnicismo – il vocabolo “tecnologia” ancora non c’era – ma anche di dinamismo e coraggio. Invece dei generali della prima guerra mondiale, aveva a capo un “manager” coraggioso, Italo Balbo, che aveva provato le drammatiche esperienze delle trincee ed aveva capito che bisognava cambiare, guardare lontano, condividendo i rischi dei propri uomini e giocando continuamente tutto come sfida ai tempi. Perfino la propria credibilità.
Tutto questo, assieme al mito della velocità, non poteva non attirare, incamerandolo, lo spirito più schietto dei futuristi vecchi e nuovi. Dice Maria Fede Caproni, che dispone di una delle collezioni più belle, che l’Aeropittura raccoglie “…una suggestione magica che esprime forza, indipendenza, estro, superiorità e fortuna, ma anche solitudine e fragilità. Un cromatico accostamento che fa apparire così simili gli aviatori di ieri a quelli di oggi…”. Intreccio quindi tra futurismo e Aeronautica, tra le due guerre, e quindi tra futurismo e fascismo, che del mondo aviatorio e dei suoi miti aveva fatto la sua bandiera. Via le cose vecchie, concetti, uomini o strumenti che fossero, e avanti quelle nuove, in condivisione con i vari manifesti che negli anni si sono succeduti marcando l’evoluzione del movimento nelle sue varie trasformazioni.
Non solo aeropittura, ma anche architettura, scultura e urbanistica, tutto segnato dai concetti di novità, spazio e futuro. E, purtroppo, anche dalle guerre. Se il primo futurismo era stato marcato, e in un certo senso era stato co-attore, dalla guerra di Libia e dalla Grande Guerra, eventi dai quali aveva anche tratto alimento, la sua riviviscenza era rimasta coinvolta, e influenzata, dalle guerre di Abissinia, di Spagna e dalla fase iniziale della seconda guerra mondiale. Fu poi proprio questo connubio tra regime, aeronautica, guerre e protocolli culturali a decretarne la fine, e a impedirne per lunghi anni la riscoperta.
Non fa meraviglia, visto l’esito finale della guerra e i travagli italiani dopo l’8 settembre. Meraviglia, invece, il fatto che la furia iconoclasta del “dopo” non sia riuscita a distruggere del tutto le tracce di questo periodo e, trattandosi di opere, molto è giunto fino a noi. A ragione o a torto, infatti, futurismo e aero pittura, così come l’Aeronautica Militare, a lungo sono rimasti etichettati rispettivamente come “arte fascista” e “arma fascista”, subendone nel dopoguerra tutte le conseguenze. Teorema tuttavia rifiutato dagli aviatori e dai cultori dell’aviazione, cui si deve il salvataggio della memoria.
Se l’Aeronautica non può essere considerata colpevole solo perché figlia di un’epoca – il Palazzo dello Stato Maggiore a Roma ne rappresenta bene lo spirito all’ interno e all’ esterno – va però riconosciuto che Marinetti, fondatore del futurismo e, vent’anni dopo, dell’ aeropittura, intrecciò il suo destino con quello del fondatore del fascismo sin dal 1919, quando assieme finirono in prigione per attività politiche congiunte. Scrive Giorgio Di Genova, in una sua premessa al libro “Dottori e l’ Aeropittura” (Maschietto & Musolino Editori, 1996) che Mussolini aveva addirittura accolto e riutilizzato nella “mistica fascista” non poche istanze proprie dell’ideologia futurista.
E’ anche vero che Marinetti se ne distaccò per alcuni anni piccato perché il futurismo non era stato formalmente riconosciuto come arte ufficiale del fascismo, ma nel 1924, in occasione del primo congresso futurista, estromise dal movimento tutti gli antifascisti, in particolare i socialisti, i comunisti e gli anarchici, che vi avevano militato sin dall’ inizio. Da allora il fondatore del futurismo non abbandonò più il regime, esaltò le guerre di Etiopia e di Spagna, aderì alla Repubblica Sociale e seguì Mussolini a Salò, dove morì nel 1944. Fu in questa fase, durata vent’anni, che il 22 settembre 1929 pubblicò sulla Gazzetta del Popolo – vestendo già la feluca di Accademico d’Italia – l’articolo Prospettive di volo e aeropittura, che, firmato poi anche da Balla, Somenzi, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia e Prampolini, diventerà il Manifesto dell’ Aeropittura.
E’ quindi comprensibile come, mescolando sacro e profano, alla fine del secondo conflitto mondiale e della guerra civile l’intrecciarsi di questi legami ostracizzasse tutti i futuristi – gli aeropittori e gli altri – e tutto il loro movimento. Ci vollero circa 25 anni – scrive ancora Di Genova – perché l’attenzione degli storici dell’arte, accantonate finalmente le riserve ideologiche, osasse riconvergere su quest’importante avanguardia tutta italiana. Ciò avvenne nel 1959, in occasione del 50° anniversario del primo Manifesto, e da allora l’interesse per il movimento si è accresciuto con progressione inversamente proporzionale a quello che era stato il suo decadimento.
Ritornando alla Regia Aeronautica, si potrebbe dimostrare che, ancorché figlia del regime, non era affatto impregnata di spirito fascista, ma di ben altri valori. Identica cosa si potrebbe affermare dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, dove i piloti e gli specialisti del 1° gruppo caccia incendiarono i velivoli piuttosto che perdere la propria identità ed essere assorbiti nella Luftwaffe, con la quale comunque collaboravano nella difesa delle città del nord dai bombardamenti anglo-americani. Come non potevano certo dirsi fascisti gli aviatori schierati al sud, dopo l’8 settembre. Ma questa è un’altra storia, meritevole di un capitolo a sé. Eppure, assieme al futurismo, l’arma aerea è rimasta a lungo coinvolta nella condanna.
E’ vero, invece, che la Regia Aeronautica, facendo seguito alle realistiche rappresentazioni pittoriche di avvenimenti bellici nella prima guerra mondiale, acquisì un ruolo di primo piano nella committenza di opere pittoriche a soggetto aeronautico. Balbo stesso volle accanto a sé artisti di grande livello, che altrimenti non si sarebbero mai avvicinati alle forze armate, come Oppo, Funi e lo stesso Balla, ed altri, della così detta scuola di Ferrara, lo seguirono in Libia. Proprio a Giacomo Balla commissionò il bellissimo dipinto della Crociera Atlantica, olio su legno, 1931, che molto suggestivamente si può ora ammirare permanentemente presso il primo piano dello scalone d’onore di Palazzo Aeronautica.
Volendo riassumere alcuni giudizi critici sull’arte ispirata al volo, mediamente si registra l’impressione di una parabola creativa in costante ascesa fino alla seconda metà degli anni trenta, per cominciare a scadere in una sorta di “vedutismo di guerra”, legato alla cronaca, nella produzione dei primi anni del secondo conflitto mondiale. Esiste, ad esempio, una testimonianza di De Bosso che racconta di quando, da civile, si metteva al posto del mitragliere dell’aereo per fissare sulla tela le impressioni di volo durante l’azione. Lo stesso Cascella, ricorda Maria Fede Caproni, per il medesimo motivo veniva spostato da una base all’altra. Sarà anche stata aeropittura decadente, ma bisogna riconoscere che l’Aeronautica ha avuto un rapporto privilegiato con gli artisti e questi, purtroppo, con la guerra.
Al di là delle realizzazioni in scultura e architettura – il Palazzo dell’Aeronautica è buon testimone di tutto questo – oserei proporre di includere nell’aeropittura futurista anche gli affreschi murali e la cartellonistica dell’epoca. Di assoluta originalità e interesse sono, ad esempio, le pitture murali eseguite negli anni trenta da Marcello Dudovich, della scuola triestina, sulle pareti del basement del palazzo. Purtroppo in gran parte sono andate perdute, ma ancora esiste in bianco e nero una documentazione fotografica completa. Tra queste, come scrive Giorgio Baldacci nelle sue didascalie in calce al volumetto “Il Palazzo dell’Aeronautica”, la serie intitolata “Il paradiso dei piloti” costituiva qualcosa di davvero suggestivo.
Dietro l’apparente canzonatura goliardica dei protagonisti impegnati in amene ed improbabili occupazioni aeronautiche, mirava in realtà a esorcizzare negli aviatori l’oscura, impalpabile presenza della morte. Era l’epoca eroica, in cui cadeva in media un pilota ogni quattro giorni. Ma Dudovich era anche cartellonista pubblicitario, e aveva già legato il suo nome a opere particolarmente importanti. Quelle di carattere aeronautico sono, assieme ad altre, riportate in una bella raccolta, curata dall’Aeronautica Militare nel 1995, sotto il patrocinio dell’incomparabile Maria Fede Caproni.
Sfogliandola, ci si accorge che, se quella del manifesto pubblicitario è un’arte che trova come luogo di fruizione le strade, le piazze o le sale d’aspetto delle stazioni invece dei musei e delle collezioni private, non per questo va considerata una forma di espressione minore. Altri grandi nomi vi si sono cimentati, da Sironi a Boccasile, da Sansone (Tato) a Codognato, e i loro manifesti pubblicitari aeronautici meritano, a mio avviso, la stessa attenzione dei quadri e delle sculture. Assieme ai quadri ed alle realizzazioni dei futuristi, sono opere che ancora oggi possiamo ammirare.
Un’ultima riflessione. Palazzo Aeronautica lo conosco da anni, e piuttosto bene. La Galleria Nazionale di Arte Moderna, anche. Le Scuderie del Quirinale e le mostre che ospitano, per chi abita a Roma sono a portata di mano. Il mese scorso sono andato a Milano, appositamente per vedere EXPO 2015. Opera mirabile, con realizzazioni suggestive anche dal punto di vista artistico e architettonico. Ad aggirarsi tra decumano e cardi c’è davvero da smarrirsi.
Ma il pensiero ricorrente era, e continua ad essere: l’Esposizione Universale di Parigi, dopo 110 anni, ci ha lasciato a testimonianza la Tour Eiffel. Quella di Roma, che doveva tenersi nel 1942, ci ha lasciato i grandi spazi ed i bianchi palazzi dell’Eur. Cosa rimarrà dell’ EXPO 2015 tra cinquant’anni ? L’Albero della Vita ? Forse….
*Generale dell’Aeronautica Militare. Giornalista e membro del Consiglio direttivo dello IAI – Istituto Affari Internazionali