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Libri. “L’estate crudele” di Bertante affresco sordido di Milano e della sua decadenza

by Chiara Donnini
28 Marzo 2013
in Libri
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bertante“Io sono solo, sconfitto, imprigionato e ingannato tutti i giorni di questa estate rovente”. Così comincia “Estate crudele”, il nuovo romanzo di Alessandro Bertante (Rizzoli, 220 pagine), ambientato nella torrida estate del 2003, in una Milano amara e alienante delle viuzze tra viale Monza e via Padova, un tempo “periferia proletaria, orgogliosa e brulicante di vita con le sue piccole industrie, le botteghe artigiane, gli opifici e i cortili polverosi delle vecchie cascine”, emblema del sogno socialista, e oggi sordido teatro multietnico della decadenza di un’epoca oramai giunta al capolinea.

E non è certo un caso che il romanzo inizi con la parola “io”. “Estate crudele” è di fatto un monologo erratico affabulante, a tratti allucinato, di una coscienza abnorme e fin troppo lucida, quella di Alessio Slaviero, dottore in antropologia quasi quarantenne, autocondannatosi ad una squallida esistenza da mercante di droga fatta di solitudine, rinuncia e abiezione morale.

Slaviero è il fatiscente relitto di una generazione deprivata (quella degli anni Ottanta) che ha visto crollare miseramente le proprie aspettative economico-sociali, ma è anche il simbolo (volutamente ingigantito) dell’uomo occidentale contemporaneo privo d’identità e di orgoglio, ammorbato dal proprio individualismo sfrenato e da indotte necessità di consumo, l’uomo che ha visto assassinate tutte le sue illusioni e che si aggrappa all’ultima illusione dell’amore e agli affetti privati come unica possibile salvezza individuale nella deriva della sua civiltà.

Slaviero è un uomo estremo: estremo perché vaga in uno scenario apocalittico evocato dalle proprie visioni, sul confine di un mondo che non esiste più e di un altro che non esiste ancora e che non riesce nemmeno a immaginare (è un sopravvissuto), estremo perché le sue elevazioni sono commisurate alle sue bassezze.

Slaviero è un uomo ferito, precipitato nel pozzo della disperazione, abbattuto dalla lezione più dura che la vita potesse infliggergli, ovvero che il dolore non ha mai un senso e la profondità della sua caduta è direttamente proporzionale alla statura dei suoi ideali.

Slaviero è succube (l’assonanza del nome Slaviero con la parola “slave”, schiavo, non può essere casuale) della sua coscienza scorticata che lo tortura, processandolo incessantemente, e della paura di vivere che non lo molla mai .

Slaviero è un reietto, escluso parimenti dalle facili consolazioni di una vita banale, quanto dagli splendori di una vita colma, degna e virtuosa, che non ha misericordia per sè e tanto meno per gli altri e che si aggira senza scopo, sospeso tra deliri epici di cavalieri raminghi e catafratti e lo straripante disgusto per un “presente orizzontale, prosaico e irrimediabilmente sudicio”.

Slaviero, nonostante i suoi eccessi e le sue contraddizioni, è un personaggio a tre dimensioni, di carne e sangue, vero, troppo vero, che balza fuori dalla pagina scritta e rimane fortemente impresso nell’immaginario e che il lettore si porterà a spasso per molto tempo nella memoria come una Cassandra.

Alessandro Bertante riesce a conferire un tono epico a una narrazione decisamente contemporanea, grazie alla forza evocativa delle parole sapientemente combinate, al ritmo incalzante, alla prosa asciutta, a tratti frammentata, che a volte si apre in periodi di sorprendente potenza visionaria e, senza traccia di scontata ironia, ci regala momenti di puro umorismo di pirandelliana memoria.

“Estate crudele”, infine, per quanto sia un romanzo decisamente “scorretto”, possiede un afflato poetico, una tensione alla bellezza, un’aura benedetta di “non detto” che aleggia intorno alle parole consegnate alla carta. È il soffio lontano di ciò che rimane solo intuito e intuibile. È il mistero che echeggia. Questo “non detto” è prossimo a essere rivelato da chi scrive e scoperto da chi legge e costituisce il terreno e il seme della futura fecondità di un’opera. “Nell’inquietudine e nello sforzo di scrivere, ciò che sostiene è la certezza che nella pagina rimane qualcosa di non detto.” (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere).

* Estate crudele di Alessandro Bertante, pp 220, Rizzoli, euro 17

Chiara Donnini

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