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Home Politica

Il caso. Addio Battiato e Zichichi: si celebra il tramonto della categoria degli esterni

by Michele Brambilla
28 Marzo 2013
in Politica
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zichichiIl governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta ieri ha cacciato in un colpo solo due assessori: il cantante Franco Battiato (Turismo) e lo scienziato Antonino Zichichi (Beni culturali). Le colpe del primo erano note a tutta Italia da parecchie ore.

Aveva dato delle «troie» praticamente a tutte le parlamentari e forse anche ai parlamentari. Quelle di Zichichi le ha invece fatte conoscere Crocetta al momento del licenziamento: «Bisognava lavorare sodo e lui parlava di raggi cosmici».

Ora, si sa che a Palermo hanno l’esonero facile. Ma se si esclude che il governatore della Sicilia sia stato contagiato dalla sindrome-Zamparini, il doppio benservito di ieri potrebbe essere letto come un segnale da non sottovalutare. E cioè: nel momento in cui anche Bersani, per cercare la benevolenza di Grillo e un po’ di tutto il Paese, insegue nomi ad effetto per alcuni ministeri, magari pescando nel giornalismo d’inchiesta e fra i predicatori, in Sicilia sperimentano che non basta essere persone note – e stimate nelle rispettive professioni – per essere buoni amministratori.

Un anno e mezzo fa sembrava che per governare l’Italia bisognasse a tutti i costi essere dei «tecnici». Già Leo Longanesi, mezzo secolo prima, aveva ammonito a non farsi troppe illusioni, definendo così la figura dell’«esperto»: «È un signore che, a pagamento, ti spiega perché ha sbagliato l’analisi precedente». Usciti non troppo soddisfatti dall’esperienza del governo tecnico, adesso magari non cerchiamo più tanto «l’esperto» quanto «l’esterno». Personaggi da copertina, professionisti di successo o magari anche solo semplici cittadini (Grillo non aveva forse detto che se avesse vinto le elezioni avrebbe messo una mamma con tre figli al ministero dell’economia?): tutto va bene purché non si sia mai stati contaminati dal cancro della politica.

Eppure basterebbe un po’ di sforzo della memoria per ricordare che quelli che oggi consideriamo «i soliti politici» vent’anni fa erano l’antipolitica dell’epoca. Forza Italia non era forse l’irrompere della società civile nel Palazzo? E la Lega non era «l’Italia che lavora», anzi che «laüra»? E Di Pietro?

Ma ancora prima. La smania dell’«esterno» era già esplosa quasi quarant’anni fa, con Paolo Villaggio che si mise in lista per Democrazia Proletaria dicendo in un’intervista «è impossibile che io risulti eletto e se la cosa accadesse passerei subito il testimone a un altro», inaugurando così la figura del candidato alle dimissioni. E Ilona Staller? Vi ricordate Cicciolina? Ci fu una tristissima trasmissione post-voto in cui lei, eletta, sedeva accanto al povero Valerio Zanone, anziano liberale piemontese bocciato alle urne. «Ci battiamo perché la luce rossa diventi luce del sole», diceva la porno-innovatrice ispirata da Pannella.

Abbiamo già dato, verrebbe da dire. Crocetta se n’è accorto in tempo rimandando a cantare (cosa in cui è eccelso) l’«esterno» Battiato, il quale nel frattempo stava già entrando nella parte, visto che ha cercato di smentire il suo discorso sul lupanare dicendo di essere stato frainteso, nel più classico stile del politico professionista.  È un peccato, perché di un rinnovamento avremmo un bisogno vitale. Ma forse, da quarant’anni a questa parte, certi «esterni» i politici di professione li scelgono con cura, mettendoli in lista o nei posti di governo, al solo scopo di farsi rimpiangere.

* editoriale de La Stampa del 28 marzo 2013

Michele Brambilla

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