Che aria tira a Venezia? Che centra Karl Marx con la Biennale in corso? Cosa è possibile capire visitando la rassegna internazionale in questi giorni? Ogni visitatore raggiunge la sua conclusione critica, però in molti possono avvicinarsi a questa consapevolezza: l’arte racconta il multiforme e la varietà delle esperienze. Con 136 autori, la Biennale Arte 2015 è una finestra aperta su molte performance, non particolarmente innovative, con tanti artisti e pochi momenti veramente creativi. Ad esempio, il visitatore smarrito potrebbe essere in difficoltà di fronte all’ esperienza di Isaac Julien, il quale, nel suo ‘Oratorio’, fa leggere ‘Il Capitale’ di Karl Marx. Evviva, signore e signori, leggete i saggi marxisti perché parteciperete ad un evento artistico! Indubbiamente il confronto artistico con la politica è attraente. Ma chi propone ciò non dovrebbe mai perdere di vista l’idea di creazione all’interno della singola proposta artistica. Invece, spesso, in questa Biennale si coordinano solo voci. Non si costruisce nulla. Non si svela niente. Si racconta ideologicamente, oscurando l’idea di invenzione artistica.
L’arte non ha più limiti. Lo sappiamo. Però non entusiasma affatto questa rincorsa alla realtà con lettura estemporanee. Come non entusiasmano i muratori orientali che sottopongono a cottura a vista migliaia di mattoni, per timbrare poi sugli stessi la frase “Non lavorate.” Questa performance, proposta dal tailandese Rirkrit Tiranvanija, non appare originale. (Scusate, quanto piacerebbe creare un’operazione analoga, ma con un gruppo di idraulici pugliesi che, sui tubi installati in un cantiere, possano scrivere,“Troppe tasse! Abbassate l’Iva!”)
Sino al 22 novembre ai Giardini e all’Arsenale, la 56° Esposizione internazionale, curata da Okwui Enwezor, presenta video di Eisenstein, Ivens, Mathiu Kleyebe Abonnenc, e pianisti che suonano la musica afro-americana di di Julius Eastman. Tanto di tutto. Tanta realtà politicizzata ma nessuna novità. Ok, la Biennale è un grande contenitore. Devono esserci tutti. Fortunatamente, poi ci sono le presentazioni di opere che parlano alla politica ma con una forte intelligenza artistica. Ecco “Il cannone” (1965) del barese Pino Pascali, una storica ironia contro le guerre oppure una celebre intuizione sull’ idea della guerra come gioco. Ed ecco il “Muro” (1993) di Fabio Mauri, una notevole espressione per rappresentare la precarietà umana dinnanzi agli eventi collettivi. Per di più, la scelta di mostrare “Il cannone” di Pascali è giustissima perché aggancia l’anniversario degli ottantanni dalla nascita dell’artista pop barese, un “conservatore rivoluzionario” che anticipò significati e linguaggi in Italia.
In ogni caso, il Padiglione Italia, curato da Vincenzo Trione, è acuto ed è un riassunto intelligente per poter riflettere sui legami tra la contemporaneità e le radici italiane. Così piace il “Manifesto contro la dimenticanza” curato da Hans Ulrich Obrist per guardare dentro il grande passato artistico del nostro paese. Piacciono inoltre le opere di Claudio Parmigiani, Nino Lombardi, Marzia Migliora. E con queste proposte, il sito nazionale alla Biennale sa tradurre idee, guardare dentro il grande deposito di memorie italiane.