Riceviamo da Luca Telese una lettera in risposta alla nostra richiesta di invitare la Sperling&Kupfer a ritirare la nuova edizione di Cuori Neri con in copertina l’accostamento fotografico tra Mafia Capitale e i caduti fascisti negli anni di piombo della Repubblica. Telese fa sua l’accorata proposta di Barbadillo affinché il libro sia ritirato dalle librerie e spiega la genesi del nuovo capitolo “sul fenomeno di «Mafia capitale» e la figura di Massimo Carminati, ex militante dei Nar al fianco di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro”.
Caro direttore,
per quanto possa sembrare strano, non possiedo, come la maggior parte degli autori, il potere di decidere la copertina di un mio libro. Lo avranno Hillary Clinton e Umberto Eco, forse, lo avrà Jeremy Rifkin e qualche autore americano. Non io, purtroppo. Ho visto che persino un grande classico come “Il secolo breve” di Eric Hobsbawn è stato ripubblicato senza la foto del Grande dittatore di Chaplin che pure è stato un elemento cruciale del racconto e delle sue interviste: ce n’è un’altra che non è brutta, ma non è la sua. Ed è celebre il caso di Salinger che ha dovuto lottare una vita per non avere nessuna foto sulla copertina del suo Giovane Holden.
Adesso, passando dai giganti al pianeta terra, devo spiegare che nel suo piccolo, per me, la copertina di Cuori neri era come una parte essenziale del libro che avevo scritto. Mi era costata, anche all’epoca, discussioni infinite, e devo dire che era “mia” quasi in ogni dettaglio. Ricordo che la difesi dal rigetto alternativo elaborato dall’ufficio grafico davanti alla storica direttrice della Sperling, Carla Tanzi, arrivata a Roma per dirimere la contesa. Le avevo provato a spiegare perché quei personaggi da fumetto sconosciuti ai più – i Balder – erano gli unici che potessero rappresentare le storie diversissime che raccontavo. Per me era importante la bicromia di quel titolo logo: Cuori-Rosso e Neri-nero. Era importante persino la fascia bianca che rendeva possibile usare quei due colori su fondo nero, che nacque su un tavolino del Pantheon sovrapponendo le scritte. In un Capitolo-estratto distribuito alla festa di Atreju sei mesi prima dell’uscita, c’era in più sullo sfondo solo il profilo rosso di una P38 che per me rappresentava la minaccia che le vite di cui raccontavo avevano subito, la violenza di un’epoca: la sagoma fu tolta solo perché appesantiva molto (e questa scelta era stata opportuna) il tutto. Ma quella era una prima edizione e non una ristampa, e io come autore avevo un potere maggiore (derivante, se non altro, dal fatto che se non consegnavo il testo non si poteva stampare!). In dieci anni ci sono state almeno tre copertine diverse, due delle quali non le avevo approvate, ma che erano state decise senza consultarmi da editori in licenza: quella del club del libro aveva una foto con scontri di piazza del ’77, quella de Il Giornale immagini generiche: la prima era una tiratura circoscritta, la seconda una tiratura monstre, ma da edicola (due volumi da 50mila copie) alla fine non se n’è accorto nessuno.
Questo solo per dire che quando ho visto il primo bozzetto della nuova copertina ho subito espresso i miei dubbi alla Sperling. Leggere in rete tutte queste reazioni in qualche modo mi conforta perché rende molto chiaro che non si trattava di miei pallini da autore pignolo, e che questo libro non appartiene solo a chi lo ha scritto e a chi lo ha pubblicato, ma anche e soprattutto a chi lo ha letto, e a chi lo legge tutt’ora, e soprattutto a coloro di cui in quel libro si parla. Per questo sono d’accordo con la proposta di Barbadillo, per questo spero che la Sperling l’accolga subito, anche se ha dei costi.
Le cose sono andate, più semplicente così: la casa editrice mi aveva chiesto un nuovo capitolo per il decennale, cosa che io avevo accettato molto volentieri. Si trattava di un piccolo saggio, quasi cinquanta pagine, in cui parlavo del caso Moro, del rapporto fra vecchio e nuovo terrorismo, e anche, ovviamente, di Massimo Carminati. Al contrario dei giudici di Mafia capitale a me non importavano i reati che erano documentati in quelle intercettazioni, ma il rapporto con la mitografia dei Cuori neri – citati molto spesso – e usati da Carminati, consapevolmente o inconsapevolmente, per sostenere l’aura del suo personaggio pubblico. Ho scritto anche, e ne sono convinto, che Quella foto è un logo, e che rappresenta l’equivalente di un segnale di pericolo sulla strada, per tutti i protagonisti di quella storia. Quel ritratto era una immagine che stava agli anni di piombo come un taglio nella tela di Fontana. Mi hanno spiegato che per i grafici della casa editrice era una fotografia che poteva raccontare simbolicamente tutta una stagione. Ho detto loro che non ero d’accordo perché nel libro ero stato molto attento ad una distinzione tra “vittime” e “caduti”, o “combattenti” della lotta armata, che fra l’altro mi era costata molte polemiche e molte critiche.
Adesso, la rivolta che arriva dai social mi conferma in un’altra cosa che scrivo in quel nuove pagine: questo libro è più attuale oggi di ieri, il rapporto che tra la storia degli anni di piombo e il presente è un continuo cortocircuito, quella stagione è la scatola nera di quella che stiamo vivendo. Sono così convinto della vecchi copertina che quando ho immaginato quella del libro che sto scrivendo da dieci anni – Cuori dopo cuori – l’ho costruita su una variazione innovativa della vecchia.
Fra l’altro devo riconoscere alla casa editrice di aver tutelato il libro per dieci anni con ristampe puntuali, rifornimenti meticolosi, una grande attenzione che ne hanno fatto un piccolo classico e che in molti altri casi – anche per libri importanti – non c’è stata. La Sperling ha pubblicato una intera collana piena di testi e testimonianze preziose, che ha rappresentato un impegno indiscutibile e meritori. Ovviamente le teorie su improbabili intenti speculativi, o eventuali aspettative economiche non hanno alcun senso: Cuori neri vende poco meno di duemila copie l’anno e chi conosce il mercato del libro sa che un dato così consolidato non si cambia in nessun caso.
So che ci vogliono soldi e tempo: ma credo che se la casa editrice accetterà la proposta di rifare il libro e di ricopertinarlo farà un regalo a se stessa e ai suoi lettori, che sono la cosa a cui tiene di più.
Ieri, quando ho letto in rete quei commenti all’articolo di Barbadillo, mi sono sentito come uno che viene preso a schiaffoni dopo che gli è stato rubato l’orologio per strada. Questo libro, per me, è come un figlio che è cresciuto e cammina con le sue gambe. Per questo rimettere a posto quella copertina non è una concessione ai miei capricci, ma un modo per non sprecare un patrimonio.