L’I King, Il Libro dei Mutamenti, è un testo tradizionale di oracoli cinesi. Si tratta di un volume antichissimo, la cui origine si perde oltre il millennio precedente la nascita di Cristo. Questo libro di profezie ha un intrinseco valore sapienziale e suggestiona da tempo anche i lettori occidentali, perlopiù studiosi accademici, orientalisti ed esoteristi. Oggi l’I King diviene protagonista di un progetto giovane ma ambizioso: è il nucleo portante di una rivista, La Tigre di Carta, fondata e diretta da Federico Filippo Fagotto e legata all’ambiente fecondo dell’Università degli Studi di Milano. La giovane redazione ha deciso di utilizzare gli oracoli dell’I King, consultato regolarmente, per scegliere il tema affrontato dal periodico mensile; attorno a questa tematica gli ingegni dei redattori e dei collaboratori esterni – sempre ben accetti – si confrontano, ricavando spunti per lumeggiare la questione dalle più differenti prospettive – pensiero orientale, filosofia, letteratura, cinema, arte, ma anche fisica, matematica e biologia. Un incontro fra Oriente e Occidente che non smette di affascinare e che ha richiamato l’attenzione e la collaborazione di diversi insigni studiosi, fra cui il filosofo della scienza Giulio Giorello. Dopo aver contribuito in qualità di redattore esterno ai primi due numeri de La Tigre di Carta, ho deciso di confrontarmi con il Direttore per presentare ai lettori di Barbadillo questo stimolante progetto. Al di là di ogni rigida scolastica – ideologica e politica –, la rivista intende promuovere suggestioni che smuovano una certa apatia postmoderna: la massiccia diffusione di certo orientalismo può essere un ottimo spunto da cui partire. Un altro modo di cavalcare la tigre. Questa volta di carta.
In Italia sono numerosi i progetti editoriali e culturali che si avvicendano nel tentativo di promuovere riflessioni e orientamenti di vario genere. Qual è la peculiarità de La Tigre di Carta? Perché un lettore dovrebbe sceglierla nel mare magnum dell’editoria italiana?
Non penso che un progetto che dia forma a passioni e interessi debba fondarsi sulla distinzione assoluta rispetto a ogni altro. Esso si basa piuttosto su un’esigenza interiore. Così è avvenuto nel caso de La Tigre di Carta: io ho sentito il prepotente desiderio di creare una rivista che unisca le mie passioni per la lettura, la cultura e la multidisciplinarietà. La Tigre di Carta è così nata da un lato come un gioco – elemento fondamentale in un’età come la mia, in cui il gioco può esser trattato con talento – e d’altra parte come conseguenza naturale di un desiderio intimo.
Una volta che questi elementi sono entrati in campo, si è certamente deciso di individuare una identità più precisa per la rivista, sia per configurarla come una creazione originale, sia, banalmente, per conquistare una fascia di lettori interessati. Particolarità de La Tigre di Carta è non avere livelli “medi”. Mi spiego meglio. Spesso le riviste settoriali poggiano su un “piedistallo”: un argomento, un campo di studi, un approccio preciso. La Tigre di Carta è invece insieme una e plurale. L’elemento specifico è costituito dall’I King, traino un po’ folle del progetto; l’elemento plurale è invece rappresentato dalla volontà di abbracciare più ambiti possibili del sapere attraverso le eterogenee rubriche.
La rivista è distribuita in cartaceo, ma affiancata da una versione online. Un compromesso fra Gutenberg e Mc Luhan?
Esattamente. Quando s’inaugura un progetto destinato alla lettura, si entra immediatamente in un paradosso: da una parte si desidera che il più ampio numero di persone si avvicini al progetto, d’altra parte si auspica che i lettori siano simili a te. Oggigiorno il cartaceo è sempre più in declino, sia per la comodità di Internet, sia per le fatiche improbe – economiche ed organizzative – legate al mondo della tipografia. Tuttavia, nel momento in cui ho ideato la rivista, non ho potuto fare a meno di immaginarla cartacea: io amo la carta e, facendo il salto del guado, da lettore a scrittore, non ho potuto cambiar “fronte”. D’altra parte, la consapevolezza delle potenzialità del mezzo 2.0 – soprattutto da un punto di vista comunicativo – ci ha spinto ad affiancare la versione online a quella cartacea.
L’Oriente è insieme sfida e stimolo centrale della rivista. Numerosissimi intellettuali hanno affrontato il rapporto dicotomico Oriente/Occidente, giungendo a soluzioni radicalmente diverse: dall’orientalismo di certa scuola tradizionalista – secondo cui ex oriente lux – agli studi comparativistici (Dumézil, Coomaraswamy, Rudolf Otto…), dalla filologia scientifica – o presunta tale – alle ricerche antropologiche, sino ad approdare alla proposta metodologica dello psicologo e sinologo François Jullien. Qual è l’approccio cui si ispira la tua ricerca?
Sono molto d’accordo con Jullien. La sua visione è fondata sul concetto di “scarto”: vi è uno scarto fra la cultura orientale e quella occidentale. É operando su tale scarto che un pensiero avvertito può interrogarsi efficacemente su se stesso.
Oggi vi sono due principali approcci al problema, entrambi problematici: da un lato una visione fondata sulla differenza, che spinge ad esempio a considerare la filosofia patrimonio esclusivo dell’Occidente. Le giustificazioni teoriche di tale approccio sono numerose – fondate ad esempio sulla distinzione fra sofia e sofrosune (sapienza e saggezza) o sull’esclusività dell’idea di logos-ratio (ragione). Tali concetti si muovono tuttavia soltanto sul terreno della filosofia classica. E basterebbe studiare anche solo superficialmente i temi di cui si sono occupate le scuole di pensiero cinesi, indiane e giapponesi per invalidare tale posizione: essi non hanno nulla da invidiare alle tematiche sviluppate dagli Eleati sino alle filosofie dell’humanitas. Le domande che queste scuole si son poste sono le medesime delle sorelle occidentali, nonostante i diversi esiti.
Dall’altro lato vi è un approccio deciso ad abolire le differenze fra i due paradigmi, combattendo le stereotipizzazioni. Tuttavia, tale visione, benché portatrice di una critica importante e filologicamente matura, impedisce l’impiego di paradigmi esplicativi più ampi. Inoltre non coglie un elemento fondamentale: tutti gli occidentali che sono diventati studiosi o semplici amanti della cultura orientale, l’hanno fatto proprio perché essa appariva loro inizialmente estranea, esotica. La Tigre di Carta tratta allora l’Oriente proprio considerandolo nello scarto un po’ esotico che da esso ci separa: visione a tratti ingenua, ma capace di suggestionare e coinvolgere, offrendo stimoli che potranno essere rielaborati più accuratamente dai lettori interessati.
Progetti futuri?
Abbiamo sorteggiato gli esagrammi e, dunque, i temi dei prossimi due numeri: quello di Maggio sarà dedicato alla “potenza del grande”, quello di Giugno all’“accrescimento” – tematiche l’una lo specchio dell’altra. Abbiamo aperto una nuova sezione online – Finestre – diretta ad ampliare i contributi del progetto .Infine, una chicca: dovremmo avere a breve un’intervista a Fritjof Capra, autore del celebre Il Tao della fisica!