Per la prima volta il patriarca ecumenico di Costantinopoli sarà presente alla cerimonia di insediamento di un romano pontefice. Accadrà tra poche ore quando Bartolomeo I giungerà a Roma per Francesco, la messa di intronizzazione si terrà martedì in San Pietro.
Nel corso del Novecento le tappe di avvicinamento tra Chiesa Cattolica e le Chiese d’Oriente si sono fatte sempre più accelerate. Incominciarono Paolo VI e Atenagora abolendo le reciproche scomuniche che cinque secoli fa i vescovi delle due capitali imperiali d’Oriente e d’Occidente (Roma e Costantinopoli) si erano lanciati. Proseguì il cammino ecumenico Giovanni Paolo II, che impostò il discorso in termini geopolitici ancor prima che teologici.
Il Papa slavo creò la suggestiva immagine dei “due polmoni spirituali dell’Europa”: il polmone cattolico-romano occidentale e appunto il polmone orientale della Ortodossia. Dietro questa immagine si celavano gli impulsi mistici e profetici di Fatima. A Fatima nel 1917 la Madonna aveva annunciato uno sconvolgimento senza precedenti che attendeva l’Europa e aveva chiesto la “consacrazione della Russia al suo cuore immacolato”. Di lì a poco sarebbe scoppiata la rivoluzione bolscevica: la Russia e, dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa dell’Est e metà Germania sarebbero state inghiottite nel vortice del più tirannico regime, artefice del più sanguinoso sterminio che la storia moderna ricordi.
Il tema della “consacrazione della Russia” ha alimentato le speranze delle correnti più mistiche della Chiesa Cattolica, ha suscitato imbarazzi negli ambienti più razionalisti della Curia Vaticana. Ai tempi di Giovanni XXIII, quando si lavorava alla Ostpolitilk, le profezie di Fatima provocavano lo stesso sospetto suscitato dal frate miracoloso di Pietrelcina con tanto di stimmate e fenomeni di bilocazione.
Con Wojtyla il clima cambia. Giovanni Paolo II ingaggia uno scontro diretto con la stagnante dittatura comunista; appoggia Solidarnosc e prende molto sul serio il tema della consacrazione della Russia. Curiosamente l’atto rituale di consacrazione della Russia al cuore immacolato di Maria coincide con l’inizio della Perestrojka ovvero con la liquidazione definitiva del regime. Il Papa restituisce alla Chiesa Ortodossa la sacra icona della Vergine di Kazan, che per vie misteriose era stata condotta fuori dal raggio di azione dei bolscevichi ed aveva trovato rifugio proprio a Fatima.
La fine del comunismo non elimina però le vecchie ruggini tra Chiese d’Oriente e Papato. Wojtyla commette anche un passo falso: affida il dialogo ecumenico a sacerdoti polacchi. Una scelta che alla luce di una lunga tradizione di dissidi e di dispetti non era delle più felici.
Appena Benedetto XVI si insedia a Roma i polacchi vengono opportunamente fatti fuori. Ratzinger affida ai francescani il compito di ricucire lo strappo di cinquecento anni fa. L’attuale vescovo cattolico di Mosca è appunto un francescano. Le relazioni migliorano.
Ora il patriarca Bartolomeo I si appresta a giungere a Roma, lo accompagnano il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, copresidente della Commissione mista per l’unità fra cattolici e ortodossi e Tarassios, metropolita ortodosso di Argentina e Gennadios Zervos, il metropolita d’Italia e Malta. Certo manca il pezzo più grosso della Ortodossia, il patriarca ortodosso di Mosca Kiril, ma non si può avere tutto dalla vita. O almeno non si può avere tutto subito.
Certo è che affacciandosi al balcone e presentandosi come “il vescovo di Roma che presiede nella carità tutte le chiese” Francesco ha pronunciato parole che suonano come musica per le orecchie degli Ortodossi che sono propensi a riconoscere al successore di Pietro un primato d’onore, ma non una schiacciante egemonia.