Se il gregge procede spedito verso un burrone, o un recinto più stretto e lontano da quello in cui era solito pascolare, sarebbe stupido prendersela solo con le pecore. Tra le pagine di “Sottomissione” di Houellebecq non è difficile scorgere un leitmotiv che lega le vicende narrate – la vittoria della Fratellanza Musulmana e del fronte repubblicano allargato sullo spauracchio Front National – con un tema fondamentale quale il rapporto tra cultura e politica in Occidente, tra la responsabilità del pensare e il peso delle azioni che ne seguono.
A ben vedere l’argomento è centrale all’interno del “caso editoriale”, salito alla ribalta dopo l’attentato terroristico alla redazione di Charlie Hebdo e il coretto dei tardo-illuministi. E più che enucleare trama e contenuti, senz’altro meglio affrontati in altri scritti, può essere utile considerare come la gemma di Houellebecq sia preziosa anche (o soprattutto) perché immagina la resa totale degli intellettuali occidentali, incapaci nella stragrande maggioranza dei casi non solo di essere avanguardia di un “altrove” ideale e politico ma anche di difendere se stessi e il marciume che li ha concepiti, allevati, coccolati e foraggiati. Anche (o soprattutto) quando hanno svolto la funzione di finta opposizione, mercenari di una presunta elite dell’impegno che, anestetizzando i gorgoglii di ribellismo di ogni epoca, ha finito per incanalare il dissenso dove voleva il sistema di potere consolidatosi negli ultimi decenni. Dimenticando non solo da dove venivano ma persino dove stavano andando.
«Gli ultimi sessantottini, mummie progressiste moribonde, sociologicamente esangui ma rifugiate nelle cittadelle mediatiche che continuavano a dar loro la possibilità di inveire contro i guasti dell’epoca e l’aria mefitica che pervadeva il Paese» scrive Houllebecq a proposito dell’incapacità di andare oltre l’esprit du temps da parte di tanti pompieri che non hanno mai incendiato neanche le foglie del giardino di casa. E non è un caso che il prototipo di un certo tipo di “impegnativo disimpegno” sia francese, il Paese in cui – come suggerisce sempre l’autore di “Sottomissione” – «l’intellettuale non era tenuto a essere responsabile, non era nella sua natura».
Giunti all’ultimo stadio della decadenza, Houllebecq suggerisce come gli europei preferiscano svendere il guscio vuoto del sacro – il cristianesimo terminale, di facciata – piuttosto che rinunciare ad angosciarsi per i denari e per le comodità di un mucchietto di privilegiati. E chi per mestiere dovrebbe usare la zucca ha disertato per primo. Rinunciando al ruolo di pungolo e apripista, l’intellettuale raccontato dallo scrittore francese si è accucciato al caldo del conformismo, incapace anche solo di fare la guardia alla casa europea. E cosa ci sarebbe, poi, da proteggere? Poca roba, se si esclude il passato. E’ la noia di chi invece di spaventarli si è unito alle schiere dei borghesi, svendendo ruolo e funzione per un piatto di pubblicazioni a la page.
Ma il dramma della noia incapacitante non affligge soltanto i radical chic della gauche. Anche chi è apparentemente lontano da quella sensibilità, e preferisce la torre d’avorio del disimpegno, come il protagonista del romanzo e la sua mono-ossessione su Huysmans, non può fare nulla dinanzi all’avanzata di un Islam “umanizzato”, simbolo dell’occupazione di un vuoto creato dall’incapacità di darsi un destino, più che da una guerra di conquista che pure è sottolineata, e spesso, nel romanzo, a partire dall’importanza data all’istruzione dal nuovo regime islamico. «Mi sentivo a mio agio in quell’atmosfera eterea, fluttuante, di conversazione cortese tra gente istruita», afferma il professor François, che finirà per diventare cagnolino dei nuovi padroni senza neanche patire più di tanto la propria scelta. Ed è emblematico che, quando il nuovo sistema muove i primi passi, egli fugga – non solo fisicamente – lontano dalla Storia. La Fratellanza musulmana non s’impone con la forza ma asseconda una tendenza alla “sottomissione” già insita nell’occidentale medio, desideroso più di tranquillità che di scosse. «Bisognava arrendersi all’evidenza: giunta a un livello di decomposizione ripugnante, l’Europa occidentale non era più in grado di salvare se stessa», scrive Houllebecq, condensando poi tutto in una citazione di Toynbee: “Le civiltà non muoiono assassinate ma si suicidano”. Un suicidio assistito da chi non si sottomette per necessità. Ma per scelta.