Il medievista Franco Cardini non rinuncia allo spiritaccio toscano neppure in momento come questo. Prende qualche istante per raccogliere informazioni e idee, dopo di che se ne esce con la sua personalissima valutazione: «Allora: Francesco I, della Compagnia di Gesù, da Buenos Aires. Sembra quasi che in Conclave abbiano fatto di tutto per accontentare un tipo come me».
In che senso, professore?
Bè, sono un ammiratore non nascosto dell’Ordine francescano, ho studiato dai gesuiti e, all’epoca della guerra delle Malvinas, parteggiavo istintivamente per l’Argentina. Ci mancherebbe che non fossi contento, le pare?
La prende con leggerezza.
Non si faccia ingannare. Come credente non posso che essere felice, e molto, per un’elezione che riunisce elementi tanto sorprendenti. Nello stesso tempo, però, mi sento colto da timore e tremore. Siamo a un punto di svolta, che viene in un frangente particolarmente complesso della storia della Chiesa. Francesco I, ma si rende conto?
Lo storico è lei, la ascolto.
La prima novità consiste nella rottura di una consuetudine che dura dal VI secolo. È da allora che i Pontefici non scelgono mai un nome al di fuori della tradizione. C’è stato il caso di Giovanni Paolo, d’accordo, ma era una situazione diversa: il tentativo, peraltro riuscitissimo, di operare una sintesi rispetto a due predecessori tanto autorevoli.
Francesco, oltretutto, non è un nome qualunque.
Infatti. Il santo di Assisi impersona il carisma della profezia, che troppo spesso viene meccanicamente contrapposto allo spirito dell’istituzione. Vede, fra i tanti retroscena che circolano sui segreti del Conclave, c’è anche quello per cui il nome del nuovo Papa sarebbe il frutto, se non di un suggerimento diretto, almeno di un’amichevole condivisione con i cardinali. Nella circostanza specifica, però, questo mi pare improbabile.
Come mai?
Qui la novità è dirompente, la scelta non può che venire dal Pontefice, senza alcun consiglio dall’esterno. Ed è una scelta coraggiosa, perché Francesco I è un nome molto pesante da portare. Va nella direzione della povertà, innanzitutto. Ma è anche un richiamo alla profezia operato nel momento in cui l’istituzione è oggetto di critiche. Mi viene da dire che, in fondo, solo la Chiesa cattolica può permettersi una scommessa tanto impegnativa.
Perché?
Perché è l’ultima grande monarchia del mondo. Spirituale, ma pur sempre una monarchia. Detto con il dovuto rispetto, sottolineo che l’attenzione riservata dai media internazionali al Conclave non ha paragoni. Neppure l’imperatore del Giappone smuove tanto interesse…
Come se non bastasse, Bergoglio è un gesuita.
Anche questo ha del clamoroso. Finora il Conclave non aveva mai designato un Papa “bianco”, se così possiamo esprimerci, che provenisse dalle fila del cosiddetto “Papa nero”. Certo, il cardinal Martini era considerato tra i favoriti nel 2005, ma poi la scelta cadde su Ratzinger. Anche in questo caso, è come se fosse stato rotto un tabù. Lo sa che cosa mi colpisce ancora?
Mi dica.
I rapporti tra francescani e gesuiti non sono mai stati particolarmente stretti. Il nome del nuovo Papa indica un punto d’incontro fra due spiritualità che, pur senza essere entrate in conflitto, hanno avuto finora storia separata.
E poi c’è l’Argentina.
Francesco I è il primo Papa latino-americano e già questo sarebbe un elemento su cui riflettere. Viene da una delle maggiori metropoli del suo Paese, vale a dire da una delle più grandi città cattoliche del mondo. Un’altra responsabilità difficile da portare. Da osservatore, direi che bisognerà capire come Francesco I riuscirà a sciogliere tutta questa complessità. Da fedele, apprezzo l’umiltà del gesto che ha inaugurato il pontificato: il Papa chiede di pregare per lui. Perché sa di averne bisogno, ma anche perché vuole farci partecipi di tanta novità.
* da Avvenire del 14 marzo 2013