La vita di ciascuno, come insegnava il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, è dramma. Ciascuno di noi, infatti, si trova nel mondo a dover fare i conti sia con un dato ambiente (c’è una bella differenza se si nasce in una bidonville o in un paesino circondato da boschi) sia col sistema di valori, di credenze, di preferenze e di rifiuti dominante nella propria epoca (facendolo proprio o combattendolo e opponendogli un altro sistema). E questo dramma scorre ed è rappresentato superbamente nelle pagine autobiografiche di Una vita (appena uscito per le edizioni Marsilio) dello scrittore e giornalista Massimo Fini. L’autore ha dichiarato che questo libro, a causa di gravi problemi alla vista che gli impediscono di leggere e scrivere, sarà il suo ultimo (e ne siamo profondamente rammaricati, pur essendo sicuri che la sua parola continuerà a risuonare forte e chiara nei media, nelle interviste, negli incontri e nelle conferenze). Scritto in modo scorrevole e accattivante, a volte con un apparente e gaio disordine, Fini si abbandona all’onda dei ricordi e non di rado sembra smarrire il filo per ritrovarlo dopo qualche pagina. Ci racconta così la sua infanzia, i luoghi spesso calpestati dalla speculazione edilizia (ingiustizia sentita a tal punto da indirizzare il giovane Fini verso un pensiero antimoderno, critico verso uno sviluppo economico indiscriminato), le figure del padre e della madre con le loro culture diverse e complementari (italiano, anzi toscano lui, russa e di nobile stirpe lei), il suo ingresso nel mondo del giornalismo, i suoi amori, i suoi libri (dal suo capolavoro La ragione aveva torto? alle biografie dedicate a Catilina, Nerone e Nietzsche), le sue polemiche. Se anche non sapessimo chi è Fini, che l’autore è uno spirito libero, un intellettuale senza padrini e senza padroni (praticamente una mosca bianca oggi), un pensatore reazionario (non nel senso di nostalgico o di codino, ma di uomo del suo tempo che si pone dei dubbi e si chiede se la strada imboccata dopo la Rivoluzione francese dal genere umano sia quella giusta), ebbene questo libro andrebbe comunque letto e gustato. E’ un pezzo della storia sociale e in qualche misura politica del nostro paese dal dopoguerra ad oggi che viene passata in rassegna. Ma è anche una storia del giornalismo italiano dagli anni ’60 in poi, vissuta sul campo, con ritratti gustosi di giornalisti quali Montanelli, Bocca, Feltri e con puntuali osservazioni sul rapporto problematico e a volte servile tra potere politico da un lato ed editori e giornalisti dall’altro. Accanto all’onestà intellettuale e al coraggio che sono la cifra dell’uomo e dello scrittore Fini c’è in più in questo libro il senso di un’acquisita saggezza: “la vecchiaia assopisce tutte le passioni. Il furore innanzitutto. Ma anche l’odio e il disprezzo se uno li ha coltivati. Hai incrociato la lama con i tuoi coetanei , ma alla fine ti rendi conto che la tua è solo una storia generazionale e che anello di congiunzione fra altre generazioni, protagonisti o comprimari, avete condiviso lo stesso tempo anche se lo avete vissuto in modo diverso. E le antiche divisioni, che sembravano irriducibili, non hanno più alcuna importanza.” E non importa gran che se poi, come scrive l’amato Nietzsche nella citazione riportata da Fini a conclusione della sua autobiografia, il sistema solare si spegnerà e con esso l’avventura dell’uomo, sicché “quando tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole”.
* “Una vita” di Massimo Fini, Marsilio, pp.252, euro 17