Aveva iniziato la Goldman Sachs, con Jim O’Neill, presidente dell’unità di gestione della banca, definendo il risultato elettorale del Movimento 5 Stelle come qualcosa di «abbastanza entusiasmante». E oggi ci ha pensato niente poco di meno che l’ambasciatore statunitense in Italia David Thorne – in visita agli studenti del liceo Visconti – a lanciare un messaggio choc: «Voi giovani – ha spiegato – siete il futuro dell’Italia. Voi potete prendere in mano il vostro Paese e agire, come il Movimento 5 Stelle, per le riforme e il cambiamento».
Che dire, niente male per Grillo & co: dopo la banca d’affari mondiale, il secondo endorsement internazionale per i grillini arriva proprio dal rappresentante di Washington in Italia. Altro che Ahmadinejad e tutto l’asse dei non allineati. Ma perché – qualcuno si chiederà – i “grandi” non tifano per la grande coalizione in salsa italiana? O per un nuovo governo tecnico, magari con l’uomo di fiducia di nome Mario Monti?
Perché a questi piace proprio Grillo? Proprio quello che – al di là delle facce simpatiche e pulite dei neoeletti – si pone da programma proprio contro quel “sistema” che dovrebbe rassicurare la tenuta dei mercati e i partner d’oltre oceano? Non si capisce, insomma, quali dovrebbero essere queste “riforme” targate M5S tali da entusiasmare i vertici statunitensi e banchieri. Per caso il blocco della Tav? Oppure la ventata anti-mercatista? O il blocco delle delocalizzazioni? Davvero la Casa Bianca benedice la decrescita? La nazionalizzazione delle banche? Il no al nucleare?
Stentiamo, in tutta onestà e per onestà intellettuale, a crederci. Oppure, per caso, a qualcuno fa comodo un’Italia che scivola – per responsabilità non certo di Beppe Grillo ma di un sistema vittima di un cortocircuito istituzionale – nel caos politico? Un’Italia anello debole di un’Europa incapace di tradursi in una potenza organica in economia? Senza troppa dietrologia, la domanda è semplice: per chi tifano i potenti? Per cosa tifano? Siamo sicuri che tifano per noi?