Giorgio Napolitano si è dimesso. Alle 10.35 del 14 gennaio 2015 l’undicesimo Presidente della Repubblica italiana, l’unico ad essere stato eletto due volte dal Parlamento, ha mollato. Al Quirinale è entrato nella primavera 2006 e, in quasi nove anni al vertice del Paese, Napolitano ha raccolto pareri contrastanti: è stato amato e odiato in egual misura. Da inquilino del Quirinale ha vissuto la crisi economico-politica più profonda della storia repubblicana: ha visto scorrere avanti a sé Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. Dalla seconda alla terza Repubblica; tutto d’un fiato, in nove anni: da Re.
Nel luglio 2006 Napolitano volò a Berlino: la nazionale italiana di calcio giocava la finale di Coppa del Mondo contro la Francia. La testata, i rigori, e Fabio Grosso. Negli spogliatoi il Presidente ringraziò “i ragazzi”: il suo settennato partiva sotto i migliori auspici; Prodi era a Palazzo Chigi, con una maggioranza, sì, risicata, ma ben agguerrita che però si sfaldò nel 2008. Elezioni e incoronazione di Berlusconi, con la crisi economica che incominciava a mordere il Paese. “I ristoranti sono pieni” diceva il premier, ma l’Italia si ritrovò, nell’estate del 2011, a dover fare i compiti a casa.
Il vuoto della politica impose al capo dello Stato di reagire e di cambiare la storia del suo settennato. Nel novembre del 2011 chiamò a sé Monti, onorato prima di un seggio a vita al Senato, scelto poi come Presidente del Consiglio. Perché non le elezioni? Napolitano fu messo per la prima volta alle corde da chi avrebbe voluto il voto al posto dell’ennesimo “governo tecnico”. Servivano stabilità e riforme si disse, garantite solo dalle larghe intese che sostenevano il prof. bocconiano. Lo spread, l’austerity e le tasse montiane, però, non fecero che aumentare il dissenso, rimasto soffocato dal declino berlusconiano e dalle incertezze del centrosinistra. Il Presidente, diventato allora Re, aveva fatto la sua scelta.
Era stanco Napolitano alla fine del suo primo mandato, ma le elezioni del febbraio 2013 non avevano fatto altro che acuire la crisi della politica. Parlamento spaccato e incapacità di dar l’avvio a un nuovo governo condizionarono l’elezione del suo successore. Franco Marini fu scartato dai grandi elettori, Prodi trombato dai 101 del Partito democratico. Napolitano si fece avanti: secondo mandato, ma solo per poco e alle sue condizioni, con governi forti e, sempre, di larghe intese. E così, gli esecutivi di Letta e Renzi. Due anni dopo le riforme sono a buon punto e i patti certificati al Nazareno: Re Giorgio si dimette e si consegna alla storia. È stato un supplente d’eccezione che pagherà le parole non dette e la smania di stabilità, cercata e voluta anche a costo di un’elezione in più.