Erano i primi anni ’50. L’Italia, da poco una Repubblica, era un Paese zoppicante bisognoso della stampella del Piano Marshall e con ancora le ferite fresche inferte dal secondo conflitto mondiale, una guerra che tra le molte vittime aveva colpito duramente anche l’amor proprio della nazione.
Ci voleva un sogno, qualcosa di grande in grado di restituire agli Italiani la fierezza di una stirpe antica, cancellando – o almeno nascondendo in parte – il marchio infame di sconfitti e voltagabbana. Fu con questo spirito che Ardito Desio, geologo ma anche esploratore, presentò all’allora presidente De Gasperi l’impresa che avrebbe ridato lustro alla patria: conquistare la vetta del K2.
Una spedizione al limite dell’impossibile, tenuto conto che l’anno prima, il 1953, anche gli invincibili americani si erano dovuti arrendere poco prima della cima. Eppure è così che si scrivono le pagine di storia.
Con disciplina militaresca (tanto da beccarsi il soprannome di ducetto) e rigore scientifico, Desio organizzò la missione che, impiegando 12 dei migliori alpinisti italiani, avrebbe raggiunto la seconda cima più alta del mondo. Utilizzando una tecnica d’assedio basata sull’installazione di numerosi campi di avvicinamento prima dell’assalto finale (addirittura 9, contro i 7 impiegati l’anno prima dagli statunitensi), la squadra italiana avrebbe poco per volta scalato il versante pakistano del Karakorum e, attraverso la verticalissima via nota come “sperone Abruzzi”, guadagnato un posto nella storia. Fu così che il 31 luglio 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli piantarono il tricolore in vetta.
Purtroppo alla gioia della conquista seguirono aspre polemiche, poiché nella versione ufficiale resa da Desio fu completamente ignorato il fondamentale apporto di Walter Bonatti e dell’hunza Amir Mahdi i quali, pur costretti ad un bivacco all’addiaccio a ben 8.100 metri di quota, ebbero il merito di trasportare le bombole d’ossigeno senza le quali Compagnoni e Lacedelli non sarebbero mai riusciti a giungere in vetta. (Per la cronaca, solo nel 2004 si arriverà al definitivo chiarimento di come andarono i fatti).
Ma al di là delle chiacchiere “di valle” ciò che resta è la conquista: Compagnoni, Lacedelli, Bonatti, Abram, Floreanini, Pagani, Gallotti, Puchoz, Angelino, Rey, Viotto e Soldà verranno ricordati come quegli italiani che, con i loro pregi ed i loro difetti, anche a costo della vita, riuscirono comunque a regalare un grande sogno all’Italia intera.