I ricchi non amano le sconfitte: piuttosto che perdere, tradiscono. Meglio ancora se possono farlo prima che il rovescio si manifesti nella sua desolante asperità. Per “ricchi”, in una forma dilatata con un po’ di spirito grossier (la ricchezza come categoria dell’animo, si potrebbe dire), qui s’intende il così detto establishment italiano: quello editoriale bancocentrico, quello dei mezzi d’informazione televisivi più noti, quello dei commentatori blasonati dell’accademia o dei laureati alla libera università del conformismo. Lo sconfitto è il professor Mario Monti, l’ex premier bocconiano, la stella cometa di una galassia che lo ha monumentalizzato in vita fintantoché dava l’illusione di garantire un generico interesse di casta funzionale all’annichilimento del nostro bipolarismo bislacco, mentre faceva due o tre cose utili al paese in burrasca; salvo poi abbandonarlo alla vigilia del voto, una volta soppesata la carica eversiva del suo progetto riformatore anti corporativo. Ora che è un’ombra politica, Monti viene svillaneggiato in effigie, quando non è rimosso dal discorso pubblico. Lo ha notato con soddisfatta e infantile perfidia Angelino Alfano, martedì sera, a “Ballarò”: sono ore che parliamo e la parola Monti non è mai stata pronunciata. Lì dove regnano Giovanni Floris e il suo sorriso da primo banco delle magistrali, in assenza di audience, non c’è eroe per il suo conduttore tv.
Il Corriere della Sera, che ai bei tempi ospitava il preside della Bocconi in prima pagina con firma in palchetto, qualche parola l’ha trovata: “Il grandissimo sconfitto di queste elezioni è il professor Monti, quarto debolissimo protagonista di questa partita che ha perduto”. Parole del direttore Ferruccio de Bortoli, lo stesso che ieri ammetteva in video: “Il paese ha sofferto molto e noi ce ne siamo accorti poco”. Poco ma in tempo per togliere a Monti, e al suo esperimento tecnocratico, il sostegno del grande quotidiano di una borghesia illuminata a intermittenza dal sospetto che il cavallo non avesse i muscoli per arrivare primo al traguardo. E in effetti il Corsera, dopo averne osservato a debita distanza la salita in politica, da settimane segnalava a Monti la propria indisponibilità ad attutirne la caduta. A Via Solferino avrebbero preferito mascherare l’élite di governo con la casacca del Ppe, per detronizzare Berlusconi prima delle elezioni e polverizzare Bersani dentro le urne. Sogni fatui, subito rimpiazzati dalla tentazione di lisciare il pelo a Grillo (ha cominciato ieri il barbiere Ernesto Galli della Loggia). Il Sole 24 Ore, almeno, era stato più trasparente: non poteva andargli giù un avversario della linea concertativa issata dal presidente Giorgio Squinzi, uno che flirta con Sergio Marchionne e candida Alberto Bombassei. E infatti il giornale della Confindustria ha schierato contro la campagna elettorale di Monti un virtuista ricolmo d’incarichi e allori come Guido Rossi. E Repubblica? A Largo Fochetti volevano un Monti al guinzaglio del glorioso Bersani, in omaggio alla vecchia passione per i connubii tra sinistra e quattrini. Guai a deludere i ricchi, sopra tutto se non hai la vittoria in tasca.
* da Il Foglio del 28 febbraio 2013