Il successo era nell’aria, facilitato dagli scandali delle ultime settimane di campagna elettorale (Mps, Eni, Finmeccanica…), ma pochi avrebbero scommesso di ritrovarsi, all’indomani del voto, il Movimento 5 Stelle come primo partito italiano. Invece la tendenza positiva, rilevata dai sondaggi, è cresciuta fino a sfondare il tetto del 25%. Risultato: un Senato bloccato e un Paese preda dell’ingovernabilità.
Il successo strabordante di Beppe Grillo, l’unico leader a battere quasi tutte le piazze italiane in questa campagna elettorale, è sì la conseguenza dell’inadeguatezza della classe politica, ma è anche l’esito inevitabile di un clima anti-casta che ha permeato il discorso pubblico del nostro Paese nel corso degli ultimi anni. Il fenomeno Grillo è stato svezzato dalle parti di Santoro e Travaglio, coccolato dalla sinistra fino al punto in cui le è esploso tra le mani, impedendole di vincere una partita che sembrava avere un esito già scritto.
Nato a sinistra, il M5S ha finito per scavalcare la tradizionale dicotomia destra-sinistra, ponendosi dichiaratamente “oltre” il sistema dei partiti, come la Lega Nord delle origini. Ha inglobato una parte consistente e trasversale di società italiana, quasi nove milioni di persone stufe della politica tradizionale e desiderose di mandare a quel paese, almeno per una volta e metaforicamente, i veri o presunti responsabili dello sfascio. In questi anni è accaduto anche all’estero che movimenti di protesta o radicali facessero il pieno di suffragi: essi avevano, tuttavia, una precisa caratterizzazione politica, dal Front National francese ad Alba Dorata o a Syriza in Grecia. Il M5S, almeno per ora, è riuscito a evitare questo scoglio, limitandosi a fare proprio un indistinto coacervo di rivendicazioni, dal referendum sull’euro alla battaglia sull’acqua pubblica, il tutto all’insegna del miracoloso mantra del “tutti a casa!”. La lotta al malcostume, tuttavia, non può costituire una piattaforma politica degna di questo nome: ora che sono una delle forze più rilevanti del Parlamento, i “portavoce” a 5 stelle dovranno porsi il problema.
Gli inizi, dobbiamo dirlo, non sono incoraggianti. I neo-parlamentari mostrano un’inadeguatezza quasi imbarazzante. E’ capitato di ascoltare un’intervista a una di loro, la quale assicurava che i cinquestellati non avrebbero creato alcun problema alla governabilità, perché avrebbero votato a favore delle misure proposte dal Governo, se volte al bene dei cittadini. Completamente eluso, insomma, il nodo del rapporto politico con l’esecutivo: se Bersani si presentasse alle Camere a chiedere la fiducia, cosa farebbero i grillini?
Lo stesso Grillo sembra attendere le mosse degli altri giocatori: farà dura opposizione – ha annunciato – contro l’eventuale governissimo Pd-Pdl, pronto a cogliere i frutti dell’inciucio alle successive elezioni. Ma, se il M5S dovesse vincerle, sarà pronto a guidare il Paese? E qui Grillo è sembrato escluderlo, collocando la prospettiva del governo in un nebbioso futuro fatto di democrazia diretta e partecipazione, più simile all’utopia marxista del paradiso in terra o a certe suggestioni da NWO del guru Casaleggio che a una concreta prospettiva politica. Nel frattempo, se il Pd deciderà di provare a governare da solo, il nostro guitto si limiterà a valutare le misure caso per caso, perché “noi non siamo contro il mondo”. Del resto, buona parte dei suoi parlamentari pende a sinistra e il Pd, dopo avergli dato del “fascista” per mesi, sembra già pronto all’abboccamento. Sarebbe paradossale se, dopo aver gridato per anni di voler buttare tutti giù dalle poltrone, il comico genovese si trovasse a fare la stampella di Bersani.