Pubblichiamo la post-fazione del libro “Riprendersi Giovanni Gentile” di Valerio Benedetti, di Hervé Antonio Cavallera, dal titolo “Gentile e la destra in Italia”
L’agile e informato studio di Valerio Benedetti su Giovanni Gentile mi induce a varie riflessioni, peraltro necessarie per chi, come me, proviene dalla scuola attualista ed è forse l’ultimo degli allievi degli allievi di Giovanni Gentile ancora a ricoprire una cattedra universitaria. La domanda che mi sono posto è appunto quella di Benedetti: quale la fortuna di Gentile teorico della politica in Italia? Non di Giovanni Gentile filosofo tout court, ma del Gentile filosofo e teorico del fascismo. È evidente, a ben vedere, che per un attualista la separazione tra le due dimensioni non ha senso in quanto il discorso politico è tutt’uno con quello speculativo; di conseguenza occorre riformulare la domanda: come è stato visto Gentile dai politici italiani esponenti della Destra? La domanda ovviamente non vale per gli antifascisti, per i quali l’opposizione alla teorizzazione del fascismo, e quindi a Gentile, è qui data scontata. Orbene, se ci sofferma sulla fortuna di Gentile nel fascismo durante il Ventennio, è indubbio che egli godette di un rapporto privilegiato con Mussolini. Non a caso fu Gentile a redigere il Manifesto degli intellettuali fascisti e a scrivere, a firma Benito Mussolini, la prima parte della voce Fascismo (Dottrina. Idee fondamentali) dell’Enciclopedia Italiana, (vol.XIV, 1932), aspetti che lo rendevano inequivocabilmente il pensatore di rilievo nel fascismo. Ciò, conseguentemente, gli causò le resistenze di tutti quei fascisti che non si riconoscevano nell’attualismo o che vedevano nel filosofo un prestigioso (e ingombrante) punto di riferimento delle istituzioni culturali del regime. Inoltre, soprattutto dal 1929 (il Concordato) Gentile e il suo attualismo era un ostacolo per i cattolici fascisti italiani, tendenti a sostituire la neoscolastica al neoidealismo come espressione egemone della filosofia italiana. Insomma, come hanno ricordato nei loro saggi sia Tarquini sia Benedetti, la figura di Gentile fu in vario modo osteggiata da diversi e potenti fascisti. Tanto più che due suoi brillanti allievi, Ugo Spirito e Arnaldo Volpicelli, con il loro corporativismo e soprattutto Spirito con la tesi della corporazione proprietaria, furono considerati dei comunisteggianti da tutti quei fascisti che difendevano e sostenevano il liberismo.
Si può aggiungere che verso la fine degli anni Trenta la fortuna di Gentile nel fascismo, nonostante egli conservasse numerose presidenze di istituti di cultura e l’appoggio di Mussolini, declinò sia per l’ostilità di politici e ministri come De Vecchi sia per l’ascesa di Giuseppe Bottai, sicuramente personalità di alto livello e fautore, attraverso la Carta della Scuola, della prima vera riforma fascista dalla scuola, essendo, quella Gentile del 1923, una riforma elaborata in anni cronologicamente pre-fascisti. Si può pertanto affermare che Giovanni Gentile all’interno del fascismo ricoprì ruoli di primo piano, ma non gli mancarono opposizioni sia in ambito accademico sia in ambito politico. Poi la seconda guerra mondiale che non vide Gentile schierato in prima fila come durante la prima, quindi il crollo del fascismo e l’8 settembre. Infine Salò. In un momento tragico di un’Italia divisa in due, con gli Alleati che risalivano in armi la Penisola, con le lacerazioni della guerra civile, Gentile, chiamato da Mussolini, prese posizione e cercò ancora, quale Presidente dell’Accademia d’Italia, di svolgere una politica di pacificazione nazionale che gli costò lavita il 15 aprile 1944.
L’assassinio di Gentile, su cui molto è stato scritto e ancora resta da scrivere, consacrò, nel mondo della Destra italiana, il filosofo che non si era messo da parte o che non era approdato, come altri intellettuali, ai provvidenziali lidi dei partiti della cosiddetta liberazione. Direi che il suo assassinio fu colto come un sacrificio che non poteva essere dimenticato. Di qui il commosso ricordo dei suoi e la trasformazione in icona da parte di quei militanti che si ritrovarono nel Movimento Sociale Italiano. In realtà, il partito che, come la fenice, voleva nascere dalle ceneri del fascismo non ebbe tra i suoi gli allievi di Gentile che continuarono a ricoprire le cattedre universitarie: Ugo Spirito, Vito Fazio-Allmayer, Giuseppe Saitta, Luigi Volpicelli e così via. L’attualismo di Gentile, nello sviluppo speculativo dei suo discepoli, continuò ad essere filosofia militante almeno sino grosso modo al 1968, quando lo scenario anche anagraficamente cambiò, ma rimase separato dal collegamento con quel partito che voleva apparire una continuazione del fascismo. Personalmente, mi è capitato che, parlando del Ventennio con alcuni vecchi cattedratici, ne rilevavo una certa ritrosia.
Alcuni erano espliciti nell’evitare una qualche contaminazione politica che, secondo loro, aveva solo danneggiato la grandezza del pensiero di Giovanni Gentile. Ugo Spirito, da parte sua, aveva preso le distanze dalla vita partitica. Giudicava essenzialmente non valido il sistema elettorale, fondato sulla maggioranza e non sulla competenza , e non andava a votare. D’altra parte, mi diceva, il limite del Movimento Sociale era proprio nel suo carattere conservatore, laddove il fascismo era stato rivoluzionario. Conservare un passato finito come ideale politico da attuare non aveva più senso. D’altra parte, essere legati a Gentile poteva, anche in termini meramente accademici, costare non poco in un’Italia dove, in sede universitaria, fortissima era l’egemonia marxista e il sottoscritto può testimoniare quanto gli sia costato l’appartenenza speculativa per la fortuna del suo cursus accademico. E nel Movimento Sociale? Tranne Antonio Fede, sempre fedele alla figura e al pensiero di Gentile, le figure di rilievo del partito non appartenevano all’ambito attualista.
Sicché Gentile era più rispettato ed evocato per il suo sacrificio personale che per un approfondimento del suo pensiero. Con una probabile forzatura, potrei ipotizzare che il Movimento Sociale si riconobbe più nelle generali idealità del Ventennio che nella formulazione che ne aveva espresso Gentile. In realtà, si dette molto spazio ad un perpetuarsi della guerra civile. Su «il Borghese» e altri giornali si illustrava non solo la critica alla Democrazia Cristiana e al Partito Comunista (come agli altri partiti), ma si segnalavano con puntigliosità coloro che erano passati dall’altra parte, dimenticando o rinnegando il passato, anzi spesso maledicendolo.
Nel Partito si accentuava l’area conservatrice, anzi tradizionalista. Significativa la posizione di Julius Evola, che negli anni Sessanta e Settanta divenne il punto di riferimento della Destra italiana. Il suo libro Il fascismo visto dalla Destra la dice lunga sulla posizione di Evola e sulla sua concezione della tradizione. Ed Evola era chiaramente ostile a Gentile, al cui pensiero fu nei primi anni Venti per qualche verso non troppo distante, almeno sino alla stroncatura che del suo idealismo magico fece Ugo Spirito . Da allora la figura di Evola si eclissò durante il Ventennio per riprendere vera visibilità, per i non addetti ai suoi studi, solo con gli anni Cinquanta e comunque sempre fuori dell’ambito universitario.
Ricordo che quando nel settembre 1996, in un mutato clima politico e sociale, invitato da Antonio Fede per conto dell’Associazione Filosofica «Giovanni Gentile» (Istituto Studi Gentiliani) da lui presieduta, tenni delle conferenze su Gentile al Circolo della Stampa di Milano, al Centro Culturale San Bartolomeo di Bergamo, al Ridotto della Camera di Commercio di Brescia, al salone dell’Unione Industriali di Como, Fede mi aveva anticipato resistenze – che non ci furono – degli ambienti evoliani. Ma nel 1996 gli anni della contrapposizione tra «gentiliani» ed «evoliani» si erano ormai conclusi per un altro mondo emergente e già emerso.
In realtà, il mutamento cominciò a verificarsi negli anni Settanta quando il Presidente dell’Istituto di Studi Corporativi, Gaetano Rasi, cominciò a frequentare Spirito. Alla scomparsa di questi (1979), la vedova, la Signora Gianna, consegnò la biblioteca del filosofo e tutte le sue carte a Rasi. L’Istituto di Studi Corporativi si trasformò nella Fondazione Ugo Spirito (1981) e lo storico Renzo De Felice ne divenne il Presidente. Io fui chiamato tra i componenti della Commissione Scientifica. Tra il mondo politico della Destra italiana e quello dell’Università, dopo i sommovimenti sessantottini, il ponte era ormai gettato. Il Sessantotto, invero, aveva registrato la presenza di editori coraggiosi, come Volpe e Rusconi, e la presenza di studiosi, di là da Evola, come Armando Plebe che avevano aderito al Movimento Sociale sì da ricoprire cariche politiche, ma il rapporto era più su un piano militante che accademico in senso stretto.
Poi le cose si stemperarono e con gli anni Novanta io, che avevo ricordato Gentile nel 1975 all’Enciclopedia Italiana, potetti ricordarlo nel 1994 nella Protomoteca in Campidoglio a Roma e in altre città d’Italia. Giovanni Gentile come un classico e anche come uno degli artefici della grandezza d’Italia. Questi i fatti, ma essi nascondono altri problemi. Rammento – ah!, sono già nella stagione dei ricordi – che Spirito in un suo libro collegava direttamente fascismo e gioventù (noi eravamo i giovani) e ne sottolineava il carattere rivoluzionario. Non a caso De Felice ha parlato di un fascismo regime e di un fascismo movimento e si è anche scritto del cosiddetto fascismo di sinistra.
Evola ha invece parlato di tradizione. Si tratta di un aspetto su cui occorre riflettere. In una logica di ampio respiro, la Destra tende a configurarsi come tutt’uno con il conservatorismo e, per taluni aspetti, con la cosiddetta tradizione, la quale non è sempre facile chiarire. Il fascismo, invece, che ha rappresentato la Destra italiana, nasceva da istanze social-sindacaliste rivoluzionarie sorelliane e da una filosofia dell’atto, dunque del divenire, come quella di Gentile. Era quindi un movimento rivoluzionario di Destra con forti istanze sociali, ben poco presenti nel liberalismo. Era quindi un fenomeno politico sui generis, sì che effettivamente, negli anni in cui molti intellettuali compromessi col regime cercarono la salvezza personale, l’adesione al comunismo come al cattolicesimo poteva trovare agganci non immaginari. Ciò dipese da due elementi: dalla provenienza socialista di Benito Mussolini e dal fatto che l’atto di Gentile non fosse affatto un divenire nel tempo ma l’esplicitarsi del tutto come pensiero in atto.
Tutto questo ha dato alla Destra italiana una peculiarità che altrove non è facile trovare e al tempo stesso la possibilità di una lettura su più piani. Per essere più chiari, vi era nel fascismo una istanza sociale, di cui fu espressione il corporativismo di Spirito e che si conservò inoltre nella dicitura Movimento Sociale, che, pur confermando la meritocrazia e la competenza, escludeva una rigidità aprioristica di classe. E ciò fu sostanzialmente avallato dall’attualismo di Gentile.
Con una avvertenza però: che l’atto gentiliano non solo inverava il passato, quindi il Risorgimento, quindi la tradizione e così via, ma era fondamentalmente la manifestazione dell’Assoluto e sotto tale aspetto non poteva che avere un carattere etico, anzi religioso. Lo scontro coi cattolici, da questo punto di vista, fu scontro tra due modi di intendere la religione, ambedue all’interno della provenienza cristiana. Ciò condusse il filosofo ad una visione etica della politica che ebbe a teorizzarsi nello Stato etico. Riflettere su tutto questo, in tempi in cui occorre davvero rifondare la vita politica, staccandola dai legacci dell’utile e dell’economico, diventa un aspetto essenziale per la stessa sopravvivenza della civiltà occidentale all’interno della quale gli Italiani hanno svolto da sempre ruoli fondamentali.
* “Riprendersi Gentile” di Valerio Benedetti, 13 euro, edizioni La Testa di Ferro
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