Si torna a parlare di Nicola Lisi: figura ai più sconosciuta, che meriterebbe una maggiore attenzione rispetto a quella sin qui dedicatale dalla critica e dall’editoria. In effetti le storie letterarie in circolazione di rado accennano all’Opera e alla persona di Lisi, e nel sistema editoriale è d’altra parte un autore che manca da tempo, per cui la pubblicazione di una ristampa non può non costituire l’occasione giusta per rendere omaggio alla sua memoria. Di Lisi è in libreria Diario di un parroco di campagna* (ed. Cantagalli); titolo che rievoca il romanzo omonimo, sicuramente più noto, di George Bernanos, e incentrato sulla figura del ”Parroco di Campagna” antitetica rispetto «a un mondo deviato e sconvolto, il nostro mondo contemporaneo, che Nicola Lisi usa come metafora per richiamare la bellezza e la necessità della rinuncia al proprio io tesa a riscoprire un rapporto armonioso con Dio, con gli uomini e con le cose del mondo»(1).
Chi è dunque Nicola Lisi? Nicola Lisi nasce nel 1893 a Scarperia nel Mugello da piccoli possidenti terrieri. Ben presto matura un sincero sentimento religioso e un amore smisurato per i luoghi nativi. La vocazione spirituale si pone sin dagli esordi al fondo della sua opera, e sarà grazie ad essa se avrà modo di entrare in contatto con altri due scrittori credenti, Piero Bargellini e Carlo Betocchi, con i quali si sentirà da subito in profonda sintonia. Con entrambi nel 1923-24 intraprende l’esperienza del Calendario dei pensieri e delle pratiche solari: un almanacco impostato tipograficamente sul modello delle stampe popolari del Sette-Ottocento. Nel Calendario è ben esplicita la formazione religiosa dei redattori che si manifesta nell’invito «al recupero di una vita attenta al passaggio delle stagioni e alle tradizioni a esse collegate, all’adesione a una vita naturale e più conforme alla verità della Provvidenza»(2). Il Calendario si configura del resto come una anticipazione de «Il Frontespizio» che nascerà di lì a poco mediante il sodalizio con scrittori di fama più consolidata come Papini e Soffici. Il punto di contatto delle due riviste è ben manifesto nell’obiettivo comune di «riprodurre onestamente la realtà dell’esperienza contingente quale prova della Provvidenza e dell’amore del Creatore»(3). L’esperienza di Nicola Lisi, ad ogni modo, non coincide con quella di un movimento, né Lisi può essere considerato il capostipite di una “scuola” in particolare. Lisi come ,ad esempio, Domenico Giuliotti, costituisce un caso a sé, e come Giuliotti la sua formazione non risente minimamente delle ideologie a lui coeve, ma trae alimento da letture trecentesche, sulle quali peraltro modella la sua prosa «assorta e musicale»(4): da frate Egidio a Angela da Foligno e ai Fioretti di Cavalca, mentre dalla lettura del Novellino desume l’ambientazione popolaresca, contadina, dei suoi racconti (dove protagonisti sono solitamente contadini, frati, preti, parroci ecc.) e la semplicità del dettato.
Ed è proprio la “simplicitas” che consente di accostare il Nostro alla poetica e agli animatori di «Strapaese» – per Pietro Pancrazi in effetti il Calendario segnerebbe l’inizio del movimento di Maccari e Longanesi -, da cui, però, se da un lato lo distanziano l’esaltazione strapaesana dell’uomo nuovo e la violenza espressiva, dall’altro lo avvicina la comune aspirazione a una vita semplice, naturale, agreste, scandita dal ritmo e dalla poesia delle stagioni; da cui l’uomo moderno, sotto l’influsso del fenomeno dell’inurbamento, si è sempre più emancipato, con tutte le conseguenze di sorta ben sintetizzate, ad esempio, ne I Malavoglia di Verga, nel senso di sradicamento che pervade la figura del giovane ‘Ntoni, quando di ritorno dalla sua fuga nel “continente”, realizza di esser ormai al di fuori dei ritmi naturali del tempo ciclico, dell’alternarsi delle stagioni e delle costellazioni.
Di Lisi si è parlato, di volta in volta, di surrealismo, realismo magico, iperrealismo, quando in effetti si è dinanzi ad uno scrittore che considera la realtà stessa un dato straordinario. Per cui quel suo interesse contraddistintivo verso le componenti magiche e stregonesche andrebbe riconsiderato alla luce di una concezione della realtà nient’affatto scontata ma dipendente, come rileva il critico G. Spagnoletti, «da un’armonia beatificante»(5) che egli intravede «negli spiragli delle sue visioni»(6), nella vista di figure angeliche che si configurano quali esseri mediatori tra l’umano e il divino, all’interno di uno spazio dai confini evanescenti; una dimensione estemporanea, che si realizza mediante il ricorso al tempo interiore della coscienza, che William James, nei suoi Principles Of Psychology, distingueva dal tempo strumentale convenzionalmente misurato dall’orologio.
In Lisi, infatti, non vi è alcuna nozione di tempo reale né «del tempo così come siamo abituati a registrarlo nelle nostre cronache ufficiali. Il segreto dell’arte di Lisi è un moto puro, anzi una pura manifestazione dell’anima. Lo scrittore è trascrittore della sua sola passione interiore»(7), – citando il titolo di una sua opera – del suo “paese dell’anima”. «Il suo è un mondo fatto di voci, di luci, di apparizioni improvvise che avrebbero del miracoloso se non fossero soltanto ed esclusivamente naturali»(9). Egli vuol farci sentire che «accanto alla vita apparente di cui siamo – volta per volta – attori e vittime, accanto a questa vita effimera e quasi sempre dominata dall’ombra c’è un altro modo di essere che si manifesta al di fuori della nostra volontà. Non per nulla i suoi personaggi non dialogano mai fra loro e, anche quando lo fanno»(10), è come se tra loro è come se si interponesse un Altro che è al contempo assenza e verità sostanziale.
*Nicola Lisi, Diario di un parroco di campagna, Edizioni Cantagalli, euro 12.
(1) N. Lisi, Diario di un parroco di campagna, Cantagalli, Siena, quarta di copertina
(2) M. Marchi, Nicola Lisi, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 65, 2005
(3) Ibid.
(4) G. Spagnoletti, Storia della letteratura italiana del Novecento, Newton Compton, Roma, 1994, p. 394
(5) Ibid.
(6) Ivi. 395
(7) C. Bo, Invito alla lettura, in N. Lisi, Opere\1 1928-1944, Vallecchi, Firenze, 1976, p. XIII
(8) Ibid.
(9) Ivi. p. XIV
(10) Ibid.