Qualunque uomo di sinistra forse sarà d’accordo nel dire che alcune istituzioni politiche rappresentative non garantiscono a se stesse uno stile di vita democratico. Opponendosi alla concezione minimalista della democrazia, che cerca semplicemente di liberare la competizione industriale dalle interferenze dello Stato, che definisce la democrazia attraverso l’abolizione dei privilegi particolari e che reclama regole destinate a dare a tutti le stesse opportunità nella vita fin dall’inizio, la sinistra ha sostenuto una visione più ampia, che non tocca solo la democrazia politica ma anche la democrazia economica e la democratizzazione della cultura.
La critica di sinistra del liberalismo inizia a constatare che l’esistenza di regole formali della competizione non offre affatto a ciascuno le medesime chance. Di fatto la facilità con cui i vantaggi di classe si perpetuano in un sistema di democrazia politica ha portato in parte alcuni radicali a credere, erroneamente, che la democrazia politica fosse un’illusione e che le libertà politiche borghesi fossero solo uno strumento della dominazione di classe. Ma anche coloro che considerano la libertà d’espressione, il suffragio universale e certe istituzioni rappresentative come condizioni assolutamente essenziali della democrazia (e sarà confortante pensare che oggi sono una maggioranza di sinistra) ammetteranno facilmente che tali garanzie politiche non rappresentano nient’altro che un inizio. Credono che la democrazia esiga anche, perlomeno, solidi sindacati, un’imposta proporzionale sul reddito ed interventi da parte del governo per inquadrare l’attività industriale. Molti aggiungeranno che essa esige inoltre la socializzazione dei mezzi di produzione.
Tuttavia risulta ben chiaro che lo stesso socialismo non è una garanzia di democrazia; è un fatto che il carattere autoritario dei regimi socialisti esistenti ha condotto la sinistra, a rivedere non solo le proprie opinioni sulla democrazia politica, ma anche a pensare sempre più fermamente che una “rivoluzione culturale” potrebbe ben rappresentare l’elemento più importante per stabilire una società realmente democratica. Questa idea un po’ astratta significa, evidentemente, cose diverse per persone diverse. Con ciò, in generale si vuole affermare che le vecchie abitudini di sottomissione tendono a riapparire in seno ai movimenti i cui obiettivi sono democratici e che a meno che tali abitudini non vengano estirpate all’origine, i movimenti rivoluzionari continueranno sempre a ricreare quelle condizioni che cercano proprio di abolire. I partigiani di una rivoluzione culturale pongono l’accento sulla ricomparsa in Unione Sovietica e negli altri regimi socialisti, dei vecchi sistemi autoritari o ancora sulla riapparizione delle tendenze sessiste all’interno della nuova sinistra più liberale. Ne concludono che fino a quando tali schemi di dominazione non saranno distrutti, i movimenti democratici continueranno a perdere sempre i propri obiettivi di partenza. (traduzione di Debora Di Marco)
* Estratto della rivista Nouvelle Ecole n 39 – La cultura di massa