Non passa giorno, in questa Italia di inizio 2013, senza che emergano nuovi scandali: a finire sotto l’occhio del ciclone, in particolare, sono i grandi colossi pubblici della difesa e dell’energia. Non è la prima volta che accade, anche nei tempi più recenti: nel dicembre 2011 Pierfrancesco Guarguaglini era stato costretto a dimettersi dalla presidenza di Finmeccanica per un’accusa di false fatturazioni, salvo poi vedere archiviata la propria posizione il mese scorso. Stavolta, è successo tutto in una settimana: prima Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’ENI, è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di corruzione internazionale, per una presunta tangente versata dalla controllata Saipem al fine di assicurarsi una commessa di 11 miliardi in Algeria; poi Giuseppe Orsi, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, è stato addirittura arrestato, con l’accusa di aver pagato una mazzetta nell’ambito di un contratto per la fornitura di 12 elicotteri alla Difesa indiana da parte di Agusta Westland.
Le conseguenze sono facilmente immaginabili: titoli crollati in borsa, aziende sempre più deboli ed esposte agli appetiti della concorrenza internazionale. Pare anche che il Governo indiano, confermando come l’ipocrisia consista proprio nell’omaggio reso dal vizio alla virtù, mediti di bloccare il pagamento del contratto e di inserire Finmeccanica nella black list delle imprese escluse da future commesse.
Ora, se l’Italia conta ancora qualcosa nello scacchiere internazionale, lo deve in buona parte a ENI e Finmeccanica. Un Paese che inquisisce i vertici di queste aziende perché oliano i contratti miliardari stipulati all’estero merita di congedarsi definitivamente dalla storia, come infatti sta accadendo. Ci troviamo di fronte a uno sconcertante cupio dissolvi, in cui la furia iconoclasta di certa magistratura e di certa stampa rischia di distruggere anche quelle poche realtà economiche e industriali di cui questo Paese può, tutto sommato, ancora andare fiero. Ma non è solo problema di magistrati, che magari si limitano a fare ciò che considerano loro dovere: a mancare è una copertura politica per questo tipo di operazioni.
Il pm di Busto Arsizio si scandalizza del fatto che Orsi considerasse quella delle tangenti una normale pratica aziendale: perbacco, che manager disonesti! Non sappiamo in quale mondo viva il pm di Busto Arsizio, ma nel mondo delle commesse internazionali, specie in settori come la difesa, come ha osservato Berlusconi squarciando il velo dell’ipocrisia, la realtà è questa: prendere o lasciare. E pare che l’Italia abbia deciso di lasciare, preda del tafazzismo che la contraddistingue da qualche tempo a questa parte. Raddoppia, invece, la Francia di Hollande, recatosi in questi giorni proprio in India per discutere affari da 11 miliardi di euro.
Si meraviglia, il pm di Busto Arsizio, che Orsi si impegnasse a tutelare il proprio gruppo dal punto di vista mediatico, contattando il presidente di Confindustria per ridurre a più miti consigli il Sole24Ore. Un eroe italiano del XX secolo, di nome Enrico Mattei, creò addirittura un quotidiano (“Il Giorno”) per servirsene come megafono; si vantava di utilizzare i partiti, MSI compreso, come se fossero taxi (“salgo, pago la corsa, scendo”); è passato alla storia per la sua estrema spregiudicatezza e per i fondi neri grazie ai quali riuscì a costituire un vero e proprio Governo-ombra attorno all’ENI. Lavorò con l’ambizione di far crescere l’Italia e di questa ambizione rimase vittima: utilizzando il gretto metro di giudizio della procura di Busto Arsizio, egli avrebbe dovuto essere trattato più o meno come un criminale comune, da mettere al gabbio prima ancora del processo.
Sembra ripetersi lo scenario del 1992: pure allora vi furono gli scandali giudiziari, ma anche l’attacco alla lira, gli incontri sul panfilo Britannia – presente Mario Draghi – propedeutici alla svendita (pardon, privatizzazione) di buona parte della nostra industria pubblica. A supervisionare il tutto, la “manina d’oltreoceano”, come commentò argutamente Paolo Cirino Pomicino. Stavolta, complici – o utili idioti – di questo disegno sono anche gli anti-declinisti alla Giannino, che invocano privatizzazioni e dismissioni e si ostinano a considerare l’Italia alla stregua di un’azienda da risanare, o di un condominio da amministrare. Continua a sfuggire loro l’esistenza della dimensione del “politico”, inteso in senso schmittiano.
Come se non bastasse, l’inchiesta su Finmeccanica entra a gamba tesa nella campagna elettorale: sempre il pm di Busto Arsizio, infatti, indugia con voluttà sulla presunta vicinanza di Orsi alla Lega Nord, che sarebbe confermata da alcune conversazioni telefoniche intercorse con esponenti del partito. Si tratta di telefonate irrilevanti dal punto di vista penale, ma che – osserva il magistrato – non possono essere sottaciute, non è ben chiaro per quale ragione. Ricordate l’intercettazione con la famosa esclamazione di Fassino “abbiamo una banca!”? Quella sì che doveva essere sottaciuta: infatti i fratelli Berlusconi sono sotto processo per averla pubblicata.
Viene da invidiare la riservatezza con la quale i magistrati senesi stanno portando avanti l’inchiesta su MPS, che guarda caso coinvolge in prima battuta il PD: lì non filtra nessuna indiscrezione, nessuna intercettazione, nessuna voce dal sen fuggita. Anzi, gli unici spifferi che escono riguardano soggetti vicini all’eminenza grigia pidiellina Verdini, o addirittura lo IOR. Del resto, la Lombardia è in bilico e così nei giorni scorsi per Formigoni è stata resa nota l’accusa di associazione a delinquere, il classico asso nella manica che torna buono per tutte le occasioni, come ha dimostrato il processo-farsa di Calciopoli.