Per il grande vecchio Giuseppe Prezzolini, “L’Italia non è democratica né aristocratica. E’ anarchica”. Come la Sicilia, pura anarchia, anarchia barocca. Un’acuta contraddizione socio-politica, in un mondo di pupi, questa è la Sicilia, la regione raccontata da Pietrangelo Buttafuoco nel suo ultimo libro, “Buttanissima Sicilia. Dall’autonomia a Crocetta, tutta una rovina” (Ed. Bompiani, pp. 206, euro 12).
E i personaggi narrati dallo scrittore siciliano sono uomini sconfitti che, però, fanno di tutto per apparire come dei vincitori, in questa terra che continua a mantenere un peccato di nascita, la colpa di ogni sua rovina!, ossia l’autonomia regionale, una catastrofe che genera giganteschi debiti pubblici, stipendifici, apparati amministrativi mastodontici, mafie e antimafie.
Con “Buttanissima Sicilia…”, lo scrittore ha onorato il suo destino: cioè ha denunciato il malgoverno, ha raccontato le fogne politiche, ha condannato la falsità disumane, con la leggerezza ironica della letteratura moralistica seicentesca. E così ha narrato, con vivace ironia, il teatrino dell’umanità sicula.
Ciò che coinvolge, prima di tutto, è la prosa di questo libro. C’è un tono letterario colloquiale che fa di un solo episodio una lezione morale a cui dare pieno ascolto. E c’è uno sforzo espressionistico che è possibile ritrovare nei libelli satirici degli scrittori illuministici.
Vorremmo tanti pamphlet come questo nelle librerie. E come lettori dovremmo chiedere polemiche e denunce, per frustare la realtà, come sa fare Buffafuoco.
Ma si può cambiare la Sicilia? O in questa terra sono solo in giro dei gattopardi malinconici? Ormai tutti in una condizione esistenziale per cui “… qui nessuno dirà che dopo i gattopardi verranno le iene, gli sciacalli e i cani di mannera. Siamo pur sempre vecchi, vecchissimi, tutto ciò che odora di morte ci appartiene ma non si ripeterà, con Tancredi, che tutto cambia per non cambiare, no”.
Quindi, non ci sono speranze siciliane? Lo scrittore, mentre narra le disgrazie di un mondo regionale, chiede con forza il giusto strappo storico: domanda che questa regione venga messa nelle mani di un commissario governativo che dica no agli affarismi, no alla macchina politica delle selvagge assunzioni, no alla rovina di un mondo economico-aziendale. Ma, prima che avvenga ciò, non rimane che la denuncia della crisi cronica, dei difetti dei siciliani, di una commedia regionale unica. Sì, perché la Sicilia è commedia dell’arte, un canovaccio brioso avente personaggi di gusto, maschere di politici, ovvero Mastro Don Gesualdo, il figlio/a di Mastro Don Gesualdo, Totò, il miles gloriosus…
Perciò, la denuncia civile del libro diviene letteratura, ecco diviene narrazione irritata di pagliacciate quotidiane, di pasticci partoriti dai culi, dai paraculi, dai minchiatori. E qui lo scrittore non risparmia nessuno, né la mafia né l’antimafia: quell’antimafia che recita la “legalità da declamazione”. Poi, il più bizzarro rappresentante dell’antimafia è il presidente Crocetta, il quale passa da una conferenza all’altra con “quella gestualità pronta all’annuncio, quella foga propria dei venditori di medicine per i calli…” oppure “con il suo essere di sinistra che gli garantisce un credito malgrado tutto il tanfo del pozzo nero di Sicilia con l’incredibile bugia della rivoluzione”.
Vogliamo bene alla Sicilia. Perché è luogo pirandelliano. Il luogo delle tante identità, alcune sì indecifrabili, ma tutte da film: un film di politici scaltrissimi, di Sfingi dei nostri giorni, come il presidente del Senato Grasso, che sa bene che “La politica è il luogo dove le verità si smussano”, che conosce bene l’arte dell’annacamento, vale a dire del dondolare tattico. Pertanto “Grasso è già bello e pronto a prodigi d’equilibrismo sul proprio naso, rotondo in punta.”
La Sicilia è pirandelliana perché è fornita di identità instabili, doppie. E indossa, come si deve, la mafia e l’antimafia. La prima inquina tutto; la seconda colora tutto creando “l’agio sociale di un’invincibilità etica che riduce tutto a protocollo.”
Come uscire dal cortocircuito politico, dalla crisi di civiltà che investe la regione? Come venire fuori da una storia shakespeariana sotto il sole mediterraneo? Gli ingannati, i battuti, i mesti cittadini siciliani dovrebbero fare appello agli uomini migliori, “le persone oneste, trasparenti e capaci.” E questa potrebbe essere la risposta, molto concreta, se individuata nell’esperienza di un’associazione “Balat”, una realtà questa che, unicamente, ha deciso di servire i cittadini, non le combriccole paesane o le brigate politiche.
Per un rilancio letterario, piace ora scrivere che i siciliani avrebbero l’obbligo di chiamare, in loro aiuto, un Principe di Norvegia, un uomo giusto, un leale Fortebraccio. E di tal genere è la speranza per Buttafuoco; cioè venga da lontano un uomo forte; si produca la grande esplosione, “Non c’è altra via d’uscita se non il big bang…” Quindi, l’estrema chance non può che essere un severo azzeramento politico-amministrativo, compiuto da qualche prefetto di ferro, dall’uomo giusto che sappia far riemergere “tre fattori fondamentali: la capacità di programmazione, le capacità di progettazione, le risorse finanziarie necessarie.”
“Buttanissima Sicilia…” arriva in libreria dopo il recente “Il dolore pazzo dell’amore”, romanzo poetico dello stesso autore, scrittore di tante onestà, già espressione di una funzione critica che mai rinuncerà a scrutare quei luoghi ove si alzano le polveri scure, le polveri delle battaglie verso cui correre, per battersi ancora una volta.
*“Buttanissima Sicilia. Dall’autonomia a Crocetta, tutta una rovina” di Pietrangelo Buttafuoco (pp. 206, euro 12, Bompiani).