Da sempre gli scrittori di fantascienza hanno saputo guardare al futuro con preveggenza intravedendo la luce dove tutti gli altri non scorgevano che tenebre. Così il mondo che oggi noi conosciamo è stato in gran parte profetizzato da un gran numero d’opere che ne hanno delineato, già al tempo, gli incredibili sviluppi tecnologici, come pure i guasti d’un progresso poco rispettoso della natura e spesso sordo alle istanze etiche. Ecco perché non potevamo lasciarci sfuggire questa intervista eccezionale ad uno dei maggiori autori del genere fantascientifico dei nostri tempi, il britannico Ian Mcdonald.
Ian nasce nel 1960 a Manchester per poi trasferirsi con la famiglia a Belfast, dove risiede tuttora. E’ attivo sin dal 1987, ed è considerato uno dei maggiori talenti della fantascienza di lingua inglese. Non si contano i premi da lui ricevuti e i riconoscimenti internazionali: tra questi segnaliamo il prestigiosissimo premio Philip K. Dick e il celebre premio Hugo.
Salve Ian, è la tua prima volta in Italia?
No, sono stato già due volte a Roma e a Venezia.
Cosa pensi del nostro paese?
Penso che tutti coloro che vivono in Gran Bretagna vorrebbero essere italiani. Secondo me avete il cibo migliore, il vino più buono e delle auto molto belle. Anche il clima non è affatto male, ed è per questo che molti inglesi vivono in Toscana.
Quando che hai iniziato a scrivere?
Nel 1983, un bel po’ di tempo fa. Come tutti gli scrittori avevo letto molti libri, tante storie, e un giorno ho pensato: potrei farlo anch’io; e dopo mi son detto, potrei farlo anche meglio. Quindi scrissi una storia e riuscii a venderla.
Cos’è per te la fantascienza e che posto occupa nella contemporaneità?
Nella sua forma migliore la fantascienza è l’unico genere letterario in grado di descrivere il mondo in cui viviamo oggi. Noi siamo immersi in una realtà in cui abbiamo dei computer incredibilmente potenti in tasca, e possiamo contattare chiunque in qualsiasi luogo del mondo, e siamo connessi in modo che nessuno poteva prevedere quarant’anni fa, perciò in un certo senso, noi stiamo già vivendo in un mondo fantascientifico. Le mie storie tentano di andare un po’ più avanti nel futuro, diciamo di venti o trent’anni.
Nei tuoi romanzi, come Desolation road, parli di intelligenze artificiali, cyborg, e antigravità: credi che tutte queste cose saranno realizzate un domani?
Sì, le cose accadono molto più rapidamente di quanto possiamo immaginare. Ho scritto un libro ambientato a Istanbul nel 2027, in cui si parlava di robot che si smembravano divenendo molto più piccoli, e oggi stiamo già sviluppando questa tecnologia.
Sei irlandese: quanto c’è nella tua fantascienza delle problematiche della tua terra?
Ecco una bella domanda. C’è molto di ciò, mi interessano assai le divisioni nella società; sia che si tratti di divisioni religiose o di classe, o economiche, perché quando c’è divisione, c’è conflitto, e dove c’è un conflitto c’è una storia.
Qual è a tuo avviso il compito di uno scrittore di fantascienza?
Sono molti. Come per la Regina per noi britannici: ella deve consigliare, ma anche avvertire, mantenere all’erta la gente. Ecco più o meno questo dovrebbero fare gli scrittori di fantascienza. Ma essi debbono ovviamente anche divertire, intrattenere.
Da noi in Italia si dice che la fantascienza è in crisi. Tu che ne pensi?
E’ vero (e ride). In questo periodo è il fantasy che va per la maggiore. In realtà ho sempre considerato la fantascienza, l’horror e il fantasy, come i tre fili d’una corda, che evidentemente intrecciandosi, formano un’unica cima. Siccome la corda può girare, c’è sempre una parte sopra, una in mezzo e infine una sotto. E’ una questione di tempo e di cicli. Alla fine degli anni ottanta, la situazione era ben diversa. Oggi invece, sopra abbiamo il fantasy, in mezzo l’horror e in basso la fantascienza. Ma ciò vuol dire semplicemente che la fantascienza deve reinventarsi, e questo è molto positivo.
E’ un pensiero darwinista il tuo?
Si lo è. La fantascienza per tornare in auge ha bisogno di nuove voci e nuove storie.
Anche l’horror e il fantasy.
Certamente. In realtà (ride ancora) ha molto a che fare coll’estetica e il travestirsi.
Sei anche tu uno di quegli autori che vedono il futuro in modo pessimistico? O c’è speranza?
Ero ottimista.
Eri?
Si, ma negli ultimi anni ho visto la ricchezza concentrarsi nella mani di pochi, e la crescita esponenziale delle multinazionali, e trovo che sia molto deprimente. Ecco, credo che si possa anche fermare il cambiamento climatico, ma che si possa fare poco per mutare questa situazione di ingiustizia. Ed è questo che mi preoccupa di più.
Credi in altre forme di vita?
Certo abbiamo i gatti (e ride di gusto)! Sarebbe però davvero strano se fossimo soli. Tuttavia l’universo è così grande e vecchio, che è probabile che le varie specie non s’incontrino mai.
Come sarà il mondo tra trent’anni? Solo una fotografia.
Sarà più caldo, affollato, e saremo molto più arrabbiati e affamati.