Lo sdoganamento è arrivato. A sorpresa. Ilvo Diamanti, il sociologo principe di Repubblica, ha in un colpo solo delegittimato le quotidiane campagne di criminalizzazione contro i populisti italiani ed europei del quotidiano diretto da Ezio Mauro. In un articolo di analisi, intitolato “Siamo tutti populisti”, Diamanti ha invitato a riconsiderare la categoria del populismo, evitando di affibbiare automaticamente al termine una accezione demonizzante.
Ecco il passaggio chiave:
“Meglio, allora, rinunciare a considerare il “populismo” una definizione perlopiù negativa e alternativa alla democrazia. Per citare, fra gli altri, Alfio Mastropaolo, ne fa, invece, parte. Come il concetto di “popolo”. Il quale, quando ricorre in modo tanto esplicito e frequente, nel linguaggio pubblico, denuncia, semmai, che qualcosa non funziona nella nostra democrazia “rappresentativa”. Perché il “popolo” non trova canali di rappresentanza efficaci. I rappresentanti e i leader non dispongono di legittimazione e consenso adeguati. Perché il governo e le istituzioni non sono “efficienti” e non suscitano “passione”. Così non resta che il populismo. Sintomo e al tempo stesso diagnosi del malessere democratico. Meglio non limitarsi a scacciarlo con fastidio. Per guarire dal populismo occorre curare la nostra democrazia”.
![Marine Le Pen](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2014/04/le-pen-310x206.jpg)
Con le elezioni europee alle porte, ogni tentativo di minimizzazione dell’onda populista da parte dei grandi media sta registrando l’effetto contrario: in Italia, dove cresce il consenso per gli eurocritici, come in Ungheria (qui Orban e la destra nazionalista di Jobbik hanno percentuali che superano il 60% dei voti). La riflessione di Diamanti, a cui bisogna riconoscere onestà intellettuale e lucidità di analisi, è figlia di un realismo da intendere come merce rara nei salotti ideologizzati della sinistra culturale: larghe fasce popolari, dall’Inghilterra alla Francia passando per l’Italia e la Grecia, sono marginalizzate dalla politica e progressivamente impoverite dai diktat dell’Eurostato e per questo i partiti e i movimenti populisti sono individuati come alternativa ad un sistema che stra strangolando interi blocchi sociali. Al di là delle ricette e dei programmi di governo di Marine Le Pen o Beppe Grillo, di Matteo Salvini o Giorgia Meloni (ancora troppo infarciti di slogan d’opposizione), l’avanzata del fronte euroscettico, di destra e di sinistra, segna l’inadeguatezza delle categorie novecentesche per fronteggiare gli scenari della globalizzazione e soprattutto rivela la debolezza delle classi dirigenti attuali nel riscrivere i trattati internazionali davanti a condizioni sociali che non sono più compatibili con gli orizzonti del tempo in cui venivano sottoscritti. E’ tempo che si riscrivano i patti costituenti nazionali e che le nuove costituzioni ridetermino le ragioni dello stare insieme in Europa. Il voto per il parlamento di Strasburgo offrirà segnali netti in questa direzione.