In piedi di fronte ai giudici. Sempre. Con gli occhi mai persi in quell’aula fredda. Occhi da ragazzo chiusi negli occhiali tondi. E il suo ciuffo ribelle pare puntato contro la Storia. Brilla la sua cravatta di seta rossa. Un rosso vivo: il colore della poesia e del coraggio. Questo un fotogramma della vicenda di uno scrittore appassionato delle passioni del XX secolo. Questo un avvenimento di un Novecento da narrare. Perché c’è voglia di narrare il secolo breve e le sue storie segnate da grandi contraddizioni. E’opportuno allora raccontare il processo a Robert Brasillach, lo scrittore castigato, lo scrittore che raccontava la Francia occupata durante la Seconda guerra mondiale. L’occasione per ritornare su questi eventi tragici è fornita dalla recente pubblicazione Memorandum. La mia autodifesa di R. Brasillach (medusa, euro11, 2014)
Il processo Brasillach, per collaborazionismo, presenta una caratteristica: dura pochissimi giorni, tra il gennaio e il febbraio 1945; tuttavia i documenti dell’autodifesa dello scrittore rimangono preservati. Per chi conosce l’opera di Brasillach, questa memoria giudiziaria pubblicata conferma che “la storia di Robert trasuda una cupa, insidiosa tristezza” come scrive Emanuele Trevi nell’ introduzione al libro. Ma quale oscura tristezza? Quella tristezza per cui nel 1945 fucilano un uomo che ha scritto articoli e viene processato per “una materia esclusivamente verbale.” (pag.11) Il giovane letterato Robert ha scritto articoli elogiando i tedeschi occupanti e il suo giornalismo è apparso come “una strana miscela di lirismo e aggressività.”
La sentenza dichiara Brasillach responsabile di essere una “intelligenza con il nemico”, un’ intelligenza collaborazionista, la quale continua la sua battaglia e affronta candidamente un processo in cui i giudici misurano frettolosamente, giudicano brutalmente. Solo dopo pochi mesi, alla fine della guerra, i ministri di Vichy, i collaborazionisti con notevoli responsabilità, vengono condannati ad anni di prigione; invece Brasillach è processato in fretta e crivellato, nel forte di Montrouge, il 6 febbraio del 1945.
Perché? Perché egli dichiara di non aver sbagliato con le sue campagne anti-democratiche, per le quali quella corte lo condanna. Domanda del Giudice: “Le vostre campagne anti-democratiche facevano il gioco della Germania…“ Risposta di Brasillach: “La scuola anti-democratica francese è ricca. Per non parlare del presente, né de Maistre, né Bonald, né Balzac, né Baudelaire erano seguaci di Hitler, però erano anti-democratici. Il più grande scrittore americano, Edgar Poe, era un accanito anti-democratico”. (pag. 43) Che parole nel silenzio grigio di un’aula di tribunale! I verbali dell’autodifesa raccontano la sicurezza intellettuale dell’imputato, il quale non si dichiara colpevole in un processo riprovevole, un processo ad un poeta e alle sue idee. In particolar modo, Emanuele Trevi sottolinea la difesa errata di Brasillach, “Chiuso il libro, ben pochi lettori potranno nutrire dubbi sul fatto che alla condanna di Brasillach molto abbia contribuito la roboante ma inefficace arringa del suo avvocato, Jacques Isorni. (…) Il suo discorso, più che un’arringa, assomigliava ad una dissertazione di critica letteraria.“ (pag.10) In quei giorni, l’avvocato Isorni ritiene, erroneamente, di affrontare un processo alle idee di un giornalista, mentre si sta svolgendo un processo ad una storia nazionale, “La sua condanna infatti trascende totalmente la sfera dell’individuo e delle colpe personali, proiettandosi in una dimensione esemplare che è una trappola da cui è impossibile scappare.” ( pag.8)
Memorandum è la trascrizione dell’esperienza di un poeta che s’imbatte nella Storia di un secolo. Per questo il verbale difensivo di Brasillach riflette pienamente i mesi dell’occupazione nazista. Nell’aula di tribunale lo scrittore di Je suis partout spiega che si poteva essere fascisti e francesi nello tempo; e ci sembra di ascoltare la sua voce in diretta. La voce di Brasillach grida che non era al servizio dei tedeschi. E precisa che ha condotto una “vita da studente. Non avevo guardie del corpo, non avevo poliziotti nell’anti-camera (…)non ho mai ricevuto minacce.” (pag. 36) Egli ha creduto in un’Europa perdente ma non si pente davanti ai giudici, perché sa che in tanti hanno errato, “Altri si sono sbagliati prima di me… “ e per questo non si ricrede, “Non rimpiangole intenzioni che mi hanno spinto ad agire. Posso essermi sbagliato sui fatti e sulle persone ma vi dico che ci sono dei giovani ragazzi e delle giovani donne che pensano con affetto a ciò che ho scritto…”. Robert ha sperato che la Francia potesse collaborare con la Germania per sconfiggere il comunismo, a patto che i tedeschi rispettassero l’indipendenza nazionale francese; ha pensato che i vincitori dovessero giustificare un popolo spinto dagli eventi ad appoggiare il governo di Vichy; ma, in aula, ha anche ribadito che i giusti, i democratici, gli antifascisti riempiono ”le prigioni e i campi con 30.000 francesi, innalzano ovunque dei pali per la fucilazione, danno al mondo l’immagine di una Francia che si ostina ad aggiungere alle ferite della guerra gli orrori di una guerra civile.” ( pag. 54)
Tutto questo gli costa la vita. Tutto questo lo condanna alla damnatio memorie, secondoi curatori del libro. Scrive Trevi che ci sono cattivi scrittori francesiche riempiono gli scaffali delle biblioteche; al contrario trovare un libro di Brasillach è quasi impossibile. “Si ristampano gli spiritosi libelli di un collaborazionista minore come Poulet, e in molti sono pronti a giurare sul valore letterario di Rebatet, che in seno alla pestifera redazione di Je suis partout rappresentava un’ala ancor più filonazista…” (pag. 12) E lasciamo stare Céline e Drieu La Rochelle, ma Brasillach – lo ribadisce Trevi – troppo presto termina la carriera letteraria; così presto da non poter innovare il suo stile letterario, il quale subirà interamente “ i processi di senescenza del linguaggio.” Insomma, l’opera di Robert si è consumata velocemente, per cui “Oggi non c’è più nessuno che legga Brasillach in Francia per gli stessi motivi che in Italia, al di là delle ristrette cerchie degli studiosi, rendono raro imbattersi in qualcuno che abbia letto Alvaro o Bontempelli.” (pag. 13) Ma questa riflessione appare incompleta. Le opere di Brasillach sono invece rintracciabili: vengono pubblicate da case editrici meno note e sono opere spesso lette. Il linguaggio letterario invecchia sì, ma non per questo non si pubblicano poesie o romanzi scritti in una lingua ottocentesca. Pertanto, il problema critico sembra un altro. E lo affermiamo con convinzione. Per cinquant’anni, la cultura di sinistra ha nascosto un patrimonio artistico-letterario non funzionale alla sua egemonia; per questo motivo troppe intelligenze di destra sono state cancellate; a meno che gli stessi intellettuali di sinistra, come negli ultimi decenni, non si siano dati da fare per riscoprire il Nietzsche ateo, il d’Annunzio libertario, il Malaparte pseudo-comunista…
Ora si aggiunga un altro motivo alle riflessioni di Trevi. Brasillach ha o non ha scritto il grande romanzo del suo tempo? La domanda è futile. Le sue opere esprimono indiscutibilmente delle verità artistiche e storiche. Ad esempio, Poèmes en Fresnes è una raccolta di versi che riverbera un’intensità tragica da accostare alla grande poesia europea. E da tanti decenni i lettori di versi leggono Il mio paese mi fa male, una poesia da imparare a memoria, una poesia che è un bilancio storico o una fulminazione di passioni patriottiche e generazionali, “Il mio Paese mi fa male per le sue vie affollate, / per i suoi ragazzi gettati sotto gli artigli delle aquile insanguinate, / per i suoi soldati combattenti in vane sconfitte / e per il cielo di giugno sotto il sole bruciante.” Questi versi brillano di una sensiblerie poetica che dovrebbe essere accolta nelle pagine più vive della letteratura europea.
Nella postfazione, Riccardo De Benedetti poi si interroga con la domanda, “… restituire Robert Brasillach alla letteratura?” (pag.78) Ma questa restituzione, prioritariamente, deve poter riflettere su una letteratura scritta pensando a milioni di giovani e all’ideale dell’amicizia.Contrariamente si continua a preferire il tema del processo. Conclusione: nei saggi di Trevi e De Benedetti emerge l’idea di una carriera letteraria sulla quale non si può scrivere più nulla. Robert è morto troppo giovane! Ah, non poteva essere un altro Drieu La Rochelle! Al massimo sarebbe stato un altro scrittore di destra ribelle, uno dei tanti! Questi ragionamenti non chiariscono nulla. Queste idee non avviano nuove ricerche storico-artistiche. Queste visioni definitive si allontanano da un dato primario: quel processo giudiziario esercita la violenza dei vincitori e stronca la vita di un vero artista; quel processo ha le sue pagine scritte con il sangue dei vinti; e quel processo mette in marcia una cultura che non spiega affatto perché il fascismo è percepito, da una generazione, come un fenomeno del romanticismo patriottico e comunitario.
Allora, quali le idee che potrebbero essere al centro di un altro tipo di libro dedicato Brasillach oggi? Sarebbe importante commentare questa idea: infondo Memorandum è punto di veduta sull’autobiografia di una nazione. Purtroppo, si continua a rileggere questo poeta partendo dagli articoli infuocati del 1943 o dal suo processo, dimenticando una produzione letteraria che trova una sua sintesi lirica in queste parole, “Un accampamento di giovinezza nella notte, l’impressione di essere tutt’uno con la propria Patria, il collegarsi ai santi e agli eroi del passato, una festa di popolo, ecco taluni elementi della poesia fascista, in cui è consistita la follia e la saggezza del nostro tempo.” (da Lettera ad un soldato della classe 1960)
Sarebbe giusto, insomma, ampliare le considerazioni sulle origini degli ideali del giovane scrittore dilaniato dalla Storia. Sarebbe equilibrato sottolineare maggiormente la forza “del povero ragazzo che si fa arrestare in nome della vera giustizia.” (Cfr. G. Almirante) Ecco che Il verbale dell’esecuzione – pubblicato con il Memorandum – poteva essere il principio per raccontare una forza emotiva gigantesca da capire e riferire di nuovo; ma i curatori del libro non hanno colto ciò. In quel maledetto verbale, riusciamo a ritrovare una straordinaria pace dell’anima che resta viva in diversi testi di Robert, come in La felicità, “Bisogna amare la felicità prima di tutto / l’acqua che fruscia sotto il vento / il grappolo rosato e quella pesca di agosto / che un angelo porta al bambino. (…) Bisogna amare la paura dei corridoi / i quaderni con la scimmia e l’orso / il prato con i suoi due specchi./ in cui tramonta il giorno.” Versi questi che la critica ideologizzata non riuscirà mai a spiegare. Versi che rimandano all’amato poeta Virgilio. Versi che ci fanno dissentire dalle idee per le quali Brasillach non diventa un grande letterato; perché Robert, in effetti, non diventa un grande poeta in quanto è già un grandissimo poeta, un immenso sogno primaverile di parole passioni e idee.