Vittorio Sgarbi, accolto da Pier Antonio Rivola, Presidente del MIC, il critico ha potuto ammirare la mostra dedicata ad Arturo Martini “Armonie, figure tra mito e realtà” a cura di Claudia Casali, a pochi giorni dalla chiusura, prevista per il 30 marzo.
“Avevo già visto la sezione bolognese della mostra con le opere monumentali di Martini. – ha commentato – Ma questa faentina è più completa anche se non mostra opere della stessa imponenza, tranne tre delle grandi terrecotte che sono state portate qui da Bologna. Qui si può ammirare tutto il percorso dell’artista dalla fase faentina e veneziana alla piena maturità. E qui si capisce come nessun scultore del Novecento, neanche Wildt, Andreotti o Rambelli, sia riuscito a trattenere la vita nella terracotta come lui. Mi pare di ricordare che Bontempelli abbia osservato come le immagini di Martini siano viventi. Cioè il corpo della terra e l’anima, in nessun scultore del Novecento, riescono ad essere così presenti e vive come in Martini. Potrebbe essere etrusco, greco, egizio, barocco e in tutto questo riesce ad andare oltre il tempo e far si che la forma sia come un calco del corpo e della vita. Come nella coppia etrusca di Veio che sembra ancora viva benchè abbia 2500 anni.
Martini con il ‘Torso’, uno dei suoi capolavori e con tante altre figure rappresentante di spalle, riesce, come non fanno altri, ad esprimere il senso del presente. Le sue sculture sono presenti e vive e stanno davanti a noi senza essere nel 1920 o ’30 o ’40. Certo, nelle prime opere si vedono le influenze Decò o di Valori Plastici, ma poi Martini si libera e riesce a essere come Dio, cioè a creare figure viventi come Dio ha fatto con l’uomo. Questo per essere, forse, l’ultimo scultore occidentale, anche prima e dopo Giacometti, giustifica che abbia scritto ‘La scultura lingua morta’ perchè dopo di lui la scultura non è più viva, diventa forma, ma non più vita. Quindi l’idea in lui che la vita sia più forte della forma è una sorta di una sconfitta dell’arte in nome della vita”.
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