Roma, Piazza delle coppelle, mensa del Senato della Repubblica.
Ore 14.20
La mandibola si alza e si abbassa lentamente. Ritmicamente. Il papillon, slacciato, quasi sfiora il piatto della minestra. Lo sguardo assorto, la testa china, improvvisamente s’alza. Il vecchio generale si sente osservato. Mi vede. Un sorriso amaro taglia il suo viso. “Ci hanno fregato!” penso mi voglia dire. L’ultima volta che avevo avuto l’occasione di parlargli, aveva teorizzato la diaspora di Futuro e Libertà come il tradimento di un principio dogmatico, il Führerprinzip con al posto del condottiero, Silvio Berlusconi.Ora che è vittima, una vittima tra tante, del genocidio politico, del nostro genocidio politico, perpetrato dal suo Capo, aspetta mestamente che si concluda questa legislatura per uscire, definitivamente, di scena. Ma in realtà lui non ha nulla da reclamare agli altri e rimproverare a se stesso. L’uomo ha fatto la sua vita, il suo percorso e le sue scelte. A novant’anni l’unica cosa che puoi avere solo i ricordi. Poco importa se un po’ più belli o un po’ più brutti. Il futuro, il futuro dopo la catastrofe, spetta invece ai giovani della mia generazione. Lui lo sa, e sorride amaramente.