Che cosa “pensa” Fratelli d’Italia? Quali sono i suoi riferimenti, i collegamenti, le direttrici culturali? A qualche giorno dalla fine dell’assise di Fiuggi ne abbiamo discusso con Giampiero Cannella, giornalista, scrittore e tra i responsabili cultura di Fratelli d’Italia. Un modo per capire come il movimento che si candida a rilanciare la destra politica intenda dotarsi e soprattutto utilizzare le categorie che sono mancate alla “destra di governo” in questi vent’anni.
Partiamo dall’immaginario. Ad accogliere i partecipanti di questa “Fiuggi 2014” c’erano Rino Gaetano e Corto Maltese. Che cosa significa?
Il congresso di Fiuggi ha evidenziato la presenza di un’area post-ideologica convenzionalmente chiamata “destra” che ha, anche provocatoriamente, scelto alcune immagini simbolo con personaggi che sfuggono in molti casi a catalogazioni e schemi. E così se Corto Maltese incarna lo spirito d’avventura che alberga certamente in chi come noi è abituato ad attraversare il deserto o a sfidare i marosi pur di raggiungere un obiettivo, Rino Gaetano è il cantante che ha trattato in maniera nuova, con linguaggio quasi futurista, alcuni temi sociali che decenni dopo, sono ancora drammaticamente attuali. Ma non sono soltanto loro i personaggi simbolo. Falcone e Borsellino non hanno bisogno di spiegazioni, ma Norma Cossetto, vittima della bestiale pulizia etnica slava contro gli italiani Giuliano-Dalmati, Salvo D’Acquisto, vero eroe che, a differenza dei bombaroli di via Rasella che esposero civili innocenti alla feroce rappresaglia nazista, non dimenticò cosa volesse dire indossare una uniforme e non esitò a donare la sua vita per salvare gli ostaggi che stavano per essere fucilati. E ancora D’Annunzio e Balbo, simboli di un’epoca la cui vitalità culturale e politica dava all’Italia un prestigio ed una autorevolezza senza precedenti. Insomma, più che un pantheon della destra, dove ciascuno di noi poi, inserisce anche altre figure, a Fiuggi è stato proposta una rassegna dell’eccellenza italiana nella Storia.
E nel presente?
Dicevamo che siamo in una fase post ideologica, quindi i nuovi riferimenti sono, da una parte i personaggi che abbiamo appena citato, che costituiscono la radice, il seme di FdI-AN. Dall’altra una destra all’altezza della sfida dei tempi non può non avere nei protagonisti dell’innovazione, della comunicazione i suoi riferimenti modernizzatori. Io, lo ricordo, sono stato il primo responsabile Internet di An, nel 1996, allora Mac Luhan era un personaggio citatissimo per l’impronta che aveva dato alla comunicazione “just in time”. Ora siamo oltre, e occorre correre più veloci del vento per proiettare nel futuro le nostre radici che affondano nella storia.
Questo congresso di Fiuggi, come è stato ripetuto dagli interventi sul palco, ha visto protagonista quella “generazione di invisibili”che dal ’94 in poi ha visto disattese quelle speranze – destra connessa con l’innovazione sociale – in ragione di una pragmaticità che non ha prodotto egemonia. E adesso?
La destra di governo, da FI ad An passando per i centristi, ha perso l’occasione per lasciare costruzioni politiche e culturali stabili e durature, la classe politica ha gestito l’esistente senza una visione strategica ed è mancata la capacità di individuare il senso profondo di una missione storica che ci consentisse di modificare le istituzioni, influire sulla cultura e modernizzare la struttura sociale del Paese. Possiamo recuperare, credo che tocchi a noi ripartire da dove altri hanno fallito.
Nel ’95 An nasceva con un’infatuazione per le dottrine liberali e conservatrici. Adesso la destra 2.0 riscopre la sovranità economica e una certa fascinazione populista. Solo un fatto di tempi o è successo qualcosa?
In questi anni è accaduto che la globalizzazione ha velocizzato a tal punto i cambiamenti che parlare di liberalismo o altro può risultare anacronistico. La crisi della finanza globale è diventata crisi economica che ha impoverito intere nazioni e intere popolazioni. Ecco perché occorre fermarsi a riflettere e abbandonare l’utopia della “orizzontalità” delle scelte globali e sovranazionali, per riscoprire la dimensione “verticale” e radicata sui territori e sulle comunità nazionali delle ricette più adatte al governo degli stati e al benessere dei loro popoli. Non è un “luddismo” politico fuori tempo, ma la presa di coscienza che non può esistere una ricetta economica, politica e culturale valida sempre e comunque per tutti che non tenga conto delle specificità.
Una delle grosse responsabilità della destra di governo è stato il mancato investimento nell’industria culturale, nell’editoria, nell’informazione. Cosa proponete?
Credo che occorra innanzitutto liberarsi del complesso di inferiorità nei confronti della cultura progressista. Scimmiottare miti, mode e tendenze altrui è una tentazione che ha pervaso e in alcuni casi continua a pervadere anche il nostro mondo. Occorre avere il coraggio di entrare a piedi uniti nel mondo della produzione cinematografica stimolando registi e produttori “non allineati”, e ce ne sono, a rappresentare una modo diverso di fare cultura e cinema. Riscoprire la “bellezza” quella vera, della nostra storia, del nostro paese e della nostra gente per raccontare non lo squallore ma lo splendore dell’esistente. Poi occorre dare maggiore fiducia alle tante iniziative editoriali e alle tante professionalità esistenti, promuovendole come negli anni ha fatto ma sinistra. Se non conquistiamo posizioni sul piano culturale, non vinceremo mai la sfida.
@rapisardant