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Libri. “Carlo Michelstaedter e il Novecento filosofico italiano” di Calabrò e Faraone

by Giovanni Sessa
2 Marzo 2014
in Cultura, Libri
0

carlo_michelstaedterScrittori, poeti e filosofi, nel corso del tempo, sono stati lambiti in modo assolutamente diverso dalla Fama. Ad alcuni è toccato in sorte di avere immediato riconoscimento della propria grandezza e significanza speculativa, altri, totalmente disconosciuti in vita, hanno beneficiato di gloria postuma. Questo è sicuramente il caso di Carlo Michelstaedter, filosofo, poeta e pittore goriziano che mise fine ai suoi giorni a soli ventitre anni, il 17 ottobre del 1910, dopo aver spedito all’Istituto di Studi Superiori di Firenze la sua tesi di laurea, La persuasione e la rettorica. L’ eco di quest’opera risuona a tutto tondo a più di cento anni dal suicidio del suo autore. Nel 2010, in occasione della celebrazione del centenario della prematura scomparsa del filosofo isontino, si sono moltiplicati gli sforzi esegetici degli studiosi attorno alla sua poliedrica produzione intellettuale. Ciò ha prodotto una messe significativa di pubblicazioni specialistiche, mirate a cogliere l’effettivo ubi consistam della filosofia della persuasione.

Un lavoro collettaneo sul pensiero di Michelstaedter, tra i tanti, ci pare davvero degno di segnalazione. Si tratta del volume, Carlo Michelstaedter e il Novecento filosofico italiano, curato da Daniela Calabrò e da Rosella Faraone, da poco in libreria per i tipi de Le Lettere (per ordini: 055/2342710; cristina.alterini@licosa.com euro 25,00). Il testo raccoglie gli Atti di una giornata di studio svoltasi il 6 dicembre 2011, nell’Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina. Come ricorda nell’incipit del volume la direttrice della collana, Francesca Rizzo, da un punto di vista generale la filosofia michelstaedteriana, con le parole di Pietro Piovani, è “la storia dell’acerbo come tale”, nondimeno la sua è anche l’espressione di una vicenda al cui interno stanno molte altre storie. Compito dell’interprete è dipanarle, chiarificarne senso e significato. La cosa è fattibile identificando preliminarmente i due fondamentali mondi culturali presenti nella produzione dell’isontino: l’ ebraico, per la sua origine familiare, e quello greco, mondo d’elezione del giovane pensatore. L’attività di scavo filologico e di contestualizzazione teoretica, messi in atto sui testi michelstaedteriani dagli autori del volume, mi pare abbia sortito gli esiti sperati. E’ infatti possibile individuare le fondamentali conclusioni che il volume propone, frammiste a novità esegetiche di rilievo.

Innanzitutto, quasi tutti gli studiosi concordano nel voler liberare l’ermeneutica della persuasione dalla stretta cui l’ha condotta, per quasi un secolo, la lettura di autori quali Papini e Borgese,  centrata sul tema del “suicidio metafisico”. In questo ambito, tanto la già ricordata Francesca Rizzo, quanto Daniela Calabrò nel suo contributo, In forma di ritratto: salute e malattia in C. Michelstaedter, interpretano la persuasione, con toni diversi ma con la medesima persuasività di accenti, come aliena da pessimismo e nichilismo. La filosofia del goriziano non è una filosofia di morte, al contrario, è un pensiero che apre alla vita. Ricorda giustamente Daniela Calabrò come, non casualmente, uno dei dipinti più emblematici della produzione del giovane Carlo, sia Processione di ombre. Il suo messaggio si rivolge a quegli uomini che vanamente inseguono il futuro: “vivendo all’insegna della speranza e facendo ciò non si accorgono di essere divenuti “ombre” (p. 226), di non possedersi nel presente. La studiosa, inoltre, sposando le tesi esposte da Roberto Esposito in Pensiero vivente, introduce nella critica michelstaedteriana un elemento di effettiva novità: la linea genealogica della filosofia del nostro paese è il punto da dove ripartire per tentare di cogliere nella sua completezza il pensiero di Michelstaedter. Il pensiero italiano, teso da sempre tra territorializzazione e de-territorializzazione, si costituisce in gran parte nell’assenza della nazione, dello Stato. Ciò ha reso possibile l’apertura europea di una linea speculativa che trova nella persuasione del goriziano uno dei suoi paradigmi. Inoltre, il provenire da una sorta di non-luogo, da un lontano da dove, dell’ “altra” filosofia italiana, come la definì Franco Volpi, può rivelarsi la ragione della potente e disvelante critica sociale di Michelstaedter. Questa denuda, smaschera i “meccanismi” della società capitalistica primo novecentesca. Ha, pertanto, ragioni da vendere Francesco Saverio Festa, che nel suo contributo fa notare come Michelstaedter sia antesignano di una serie di autori del limite, capaci di “strappare il velo della consolazione e dell’illusione della rettorica per vivere l’attimo presente” (p. 239). In tal modo, il filosofo politico dell’Università di Salerno delinea un percorso teoretico che ha suoi momenti significativi in Weininger, Benjamin, Zambrano e, non ultimo, Andrea Emo, individuando in essi, nelle loro proposte, una via di ricerca ineludibile per individuare le ragioni delle contraddizioni del contemporaneo e per un loro possibile ed effettivo superamento.

Tra i saggi che questo volume propone, non si può non ricordare Postille postumane di Rosalia Peluso. Da queste pagine si evince che: “…le postille postumane di Michelstaedter non sono altro che postille vergate a margine della tradizione umanistica, e collocate talmente al margine da condurre il loro autore a proposizioni che rasentano l’antiumanesimo, ma che più in generale lo collocano in una atmosfera culturale e spirituale postumanista” (p. 89). La cosa è assai rilevante. In quest’ottica la figura del persuaso è quella di un “uomo” venuto dopo l’umano. Tale posizione implica l’acquisizione definitiva alla critica della netta presa di distanza (pre-heideggeriana) del giovane pensatore dalla romanitas, intesa quale luogo dell’assolutizzazione del soggetto, in chiave antiellenica. Il soggetto romano, non ha più nulla in comune con l’anima “nuda”, ma ha il proprio referente rettorico nel foro, nella dimensione pubblica: “Per intendere Michelstaedter abbiamo bisogno che sia interamente dispiegata…la critica del moderno in cui parte cospicua è rappresentata dalla critica all’umanesimo” (p. 92). In questo modo Michelstaedter mette in discussione l’idea di un’immutabile natura umana. L’uomo esaltato da Pico, scopre in Michelstaedter la propria natura “artificiale”. Per recuperarsi alla pienezza plotiniana, l’uomo deve farsi da sé la Via: “La persuasione è una estrema e radicale “antropoplastia”, creazione plastica” (p. 105). A noi pare che,  più che definire Michelstaedter postumanista, sarebbe più acconcio collocare la sua proposta speculativa ed esistenziale nel transumanismo, posizione che attualmente fa sentire a livello internazionale la propria voce, grazie all’opera di Riccardo Campa, sociologo della scienza presso l’Università di Cracovia.

Alcune delle precedenti considerazioni ci consentono, peraltro, di motivare meglio il nostro stesso contributo al volume, Dal misticismo michelstaedteriano al magismo evoliano. Qui abbiamo definito le esperienze speculative dei due autori, “platonici senza platonismo”, come ascrivibili all’orbita di quel “platonismo” del primo Lukács, che è in senso proprio un ethos, un trovare-dare-luogo all’uomo contemporaneo, nella certezza stirneriana che l’assoluto è soltanto il concreto, il fenomeno individuale. In questo senso, tanto il tentativo michelstaedteriano quanto quello evoliano, presentano sicuramente tratti transumanisti. Mentre il primo però, in forza del rigido dualismo connotante il momento ebraico della Bildung del goriziano, ha indotto il giovane filosofo a dogmatizzare la persuasione nel dato della irreversibilità, rendendo la sua una filosofia della libertà, sostanzialmente una filosofia mistica, il percorso magico di Evola ha il tratto della filosofia della autoliberazione, in quanto la necessità, la rettorica, è sempre il compossibile della libertà. In ogni caso l’orizzonte di entrambi gli autori ci pare risolutamente chiuso alla trascendenza. Per la qual cosa, le loro proposte si muovono in un orizzonte postmetafisico, oltre i “ritorni” di qualsivoglia  filosofia del valore.

La cosa è fatta rilevare, a proposito dell’isontino, in termini negativi, anche da Sergio Sorrentino in Il contributo di Michelstaedter al pensiero filosofico del Novecento. Le conclusioni dello studioso sono chiare: “In Michelstaedter l’autenticità della vita e dell’esistenza si gioca interamente all’interno di una totalità esistentiva senza correlazione di trascendenza con un orizzonte di totalità ulteriore, capace di innescare la donazione di senso e di riscattare la vita dalla sua nullificazione” (p. 35). Le differenti prospettive esegetiche, presentate dal volume, testimoniano la vivacità del dibattito critico attorno al goriziano. Il testo è impreziosito da molti altri scritti: quello di Giusi Furnari Luvarà, che presenta al lettore l’originale lettura gramsciana di Michelstaedter e che mostra il dramma esistenziale del giovane quale prodotto della contraddizione, vissuta fino alle estreme conseguenze, tra il suo slancio etico assoluto e l’impossibilità di realizzarlo nella società capitalista. Segnaliamo, infine, l’interessante ricostruzione di Rosella Faraone degli interventi critici relativi alla persuasione, della prima metà del Novecento: meritoria in quanto evidenzia la diversità di giudizio, che si registrò nella “famiglia” attualista, a proposito di Michelsteadter. Importanti risultano essere anche le analisi della “rettorica”, presenti negli scritti di altri coautori del volume.

Questo testo, che vivamente consigliamo a chi ha avuto la pazienza di seguirci fin qui, permetterà al lettore, non solo di incontrare uno dei personaggi più straordinari della filosofia del Novecento, ma di comprendere lo spessore europeo del pensiero italiano del secolo da poco trascorso, niente affatto provinciale.

@barbadilloit

Giovanni Sessa

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Tags: evolafilosofiamichelstadternovecento

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