A Bari, la settimana scorsa, un’addetta alle pulizie ha raccolto alcune opere della mostra di arte contemporanea Display Mediating Landscape e le ha consegnate agli operatori ecologici della locale azienda dei rifiuti, che stavano passando tra i vicoli di Bari vecchia per svuotare i bidoni della spazzatura. “Semplici cartoni abbandonati in un angolo della sala”, ha detto. Le opere, fatte con materiali essenziali e quotidiani, erano contenute in alcune scatole di cartone. Sgomento e incredulità alla riapertura della mostra : gli allestitori hanno subito notato la mancanza di diversi oggetti.
In discarica sono così finite opere per un valore di circa 10-12 mila euro: sette dischetti in sughero dell’artista Nicola Gobbetto, fogli di carta con cornice di David Jablonowski e alcune pubblicazioni artistiche in edizione limitata dell’associazione Flip. La donna ha persino appoggiato un martello su un’altra opera, quella di Paul Branca, causando la rottura di uno dei biscotti installati.
Solo degli inguaribili snob, lontani dal “buon senso” popolare, possono essersi non solo scandalizzati, quanto soprattutto stupiti dell’accaduto.
L’atto esemplare, per quanto inconsapevole, della signora, addetta delle pulizie,conferma ciò che dicono i sondaggi ed ancora prima il “sentire collettivo”: l’arte contemporanea non viene capita, anzi – per i più – fa proprio “schifo”…. Al punto che scaraventarla nella spazzatura appare un atto scontato, come può accadere per un cartone qualsiasi, tanto esso appare banalmente comune, ben poco “artistico”, così poco degno di essere messo in … mostra.
Il senso dell’arte-non arte che accompagna il nostro tedio contemporaneo sta tutto qui. Del resto, la signora, addetta delle pulizie, che – a questo punto – assume il ruolo della classica “persona media” dei sondaggi, difficilmente avrebbe scambiato l’opera esposta per immondizia se in mostra ci fosse stato – ad esempio – una tela di Botticelli o di Raffaello, di Tintoretto o del Tiepolo, ma anche, andando ad anni più vicini, una di De Chirico o Sironi. Le avrebbe – al contrario – maneggiate con cura, rispettate, forse ammirate, colpita da quell’aura di sacralità che da esse promana.
Sia chiaro: non tutta l’arte contemporanea può essere assimilata all’arte – non – arte, a rischio spazzatura. Come notava Francesco Bonami – autore di Lo potevo fare anch’io – Perché l’arte contemporanea è davvero arte – “Chi odia l’arte contemporanea rimpiangendo le opere del passato rifiuta di accettare il fatto che i capolavori che tanto ama hanno rappresentato anch’essi il presente per la propria epoca. (…) Perché l’arte contemporanea siamo noi, così come ci vediamo oggi nello specchio del presente”.
Il problema è non cadere nell’inganno degli “specchi deformanti”, laddove tutto sembra concesso al mondo dell’arte “senza centro” (secondo la visione tradizionale di “fuoriuscita” dall’uomo, dall’umanità e dalla giusta misura) o peggio ad un’idea dell’arte tanto “scentrata” (“Tutti i centri sono in frantumi” – scriveva Majakovskij, in Inno a Satana ) da trasformare i rifiuti in manufatti artistici, ma con l’immancabile pedigree dettato dal critico di turno che inquadra – testuale da una mostra sui “rifiuti diventano arte” – “…il concetto del rifiuto, nella sua essenza fisica attraverso la trasformazione degli scarti in veicolo espressivo e poetico, e nella sua valenza di comportamento sociale, tramite la sensibilizzazione verso le tematiche più “sgradevoli” della malattia e dell’abbandono che spesso vengono allontanate dalle coscienze”.
Siamo evidentemente al paradosso che si fa realtà, nel ribaltamento di ogni visione estetica, fino alla negazione dell’arte stessa. Da espressione creativa a spazzatura e viceversa.