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Home Corsivi

Il lessico accademico della Fornero nasconde il flop della riforma del lavoro

by Antonio Rapisarda
26 Gennaio 2013
in Corsivi, Personaggi
0

La riforma delle riforme, quella che avrebbe dovuto rappresentare l’investimento di un Paese che vuole tornare a crescere? Alla fine è «una scommessa. Non so dire se funzionerà». Elsa Fornero, ministro del Lavoro, nel bene e nel male, sarà ricordata così: come la figura paradigmatica di questa stagione. Inflessione torinese, piglio accademico, espressione algida: l’identikit perfetto del “riformatore”  venuto a redimere il popolo dal misticismo della politica. Salvo poi essa stessa non azzeccarne praticamente una. Come definire in altro modo la spiegazione che ha dato oggi riguardo la sua riforma del mercato del lavoro? «Non ho elementi per dire se funzionerà. Io avevo il dovere di delineare un quadro». Non c’è che dire: proprio quello di cui hanno bisogno i precari e i disoccupati (a proposito, che ne pensa l’Europa delle stime sull’occupazione e le previsioni italiane?). E, perché no, proprio ciò di cui necessitano anche i sovrannaturali umori dei mercati: quelli che, raccontano, essere molto sensibili agli equilibri politici ed economici legittimati da questo governo. Niente male, allora, questa uscita “visionaria” per un tecnico.

Dicevamo, però, che “la” Fornero (tra le altre cose ha bacchettato i giornalisti per l’utilizzo dell’articolo femminile) non è nuova a numeri del genere. Tutto ha avuto inizio proprio con i primi giorni di cura Monti: con la riforma delle pensioni, “impresa” compiuta dopo anni e anni di immobilismo (e con il ricatto dello spread che permetteva all’esecutivo di avere la fiducia su qualsiasi provvedimento). Il tutto è stato accompagnato con le lacrime copiose in conferenza stampa da parte del ministro che hanno sorpreso lo stesso premier. Sembrava umana Elsa. Si scoprirà, invece, un’umana un po’ pasticciona. Con i numeri prima di tutto, come insegna il caso esodati creato proprio con la riforma del sistema pensionistico. Con le battute in secondo luogo, come quella sui giovani considerati “choosy” che ha scatenato le proteste e l’indignazione di una generazione consegnata a una instabilità che la sua riforma – a detta dei sindacati quanto dal mondo dell’impresa – non scalfisce.

Proprio qui, con tutta probabilità, sta il concentrato di difetti che hanno reso un cattivo servizio a un altrettanto deludente portfolio da ministro: il vizio dirigista della “classe padrona” unito al più irritante metodo della maestrina. Un mix che non poteva non diventare politicamente letale. E in effetti lo stesso Mario Monti ha via via compreso che uno dei suoi ministri di punta non dimostrava quel tasso di “spendibilità” richiesto a un politico. Tant’è che non sembra essersi strappato i capelli quando il suo ministro del Welfare ha detto: «Torno all’università». Lo dimostra il fatto che in campagna elettorale Monti non ha di certo alzato le barricate per difendere l’impianto delle riforme “storiche” targate Fornero promettendo aggiustamenti (modo gentile per dire stravolgimenti). Una scommessa, insomma, ha detto di della sua esperienza Elsa. Persa in malo modo, a quanto pare.


Antonio Rapisarda

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