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Home Personaggi

L’intervista. Mario Vattani: “Destra, unità e protagonismo nello scenario globale”

by Michele De Feudis
17 Gennaio 2013
in Personaggi, Politica
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Anticipiamo per gentile concessione, l’intervista che Mario Vattani ha concesso a Michele De Feudis, per «il Borghese», e che comparirà sul numero di Febbraio del periodico.

«È necessario che la destra ritrovi un percorso unitario, per dare forza ad una visione nazionale di protagonismo nello scenario globale. Superando le divisioni, riscoprendo la forza delle avanguardie culturali e influenzando le politiche di governo come succede in Giappone»: è questa la rotta indicata da Mario Vattani, uno dei protagonisti più creativi dell’area culturale della destra italiana. Cresciuto nelle organizzazioni giovanili del MSI, ha dato impulso a una serie di iniziative «metapolitiche» che hanno influenzato le successive generazioni di militanti dell’area non conforme. Diplomatico della Farnesina, ha svolto funzioni in sedi internazionali ed è stato fino a pochi mesi fa console a Osaka. Fine conoscitore della letteratura del Paese del Sol Levante, Vattani è candidato alle elezioni politiche al Senato in Campania, per «La Destra».

Vattani, dopo la parentesi del governo guidato dal tecnocrate Mario Monti, resterà in piedi il sistema bipolare che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni?

«Il quadro evolverà e le novità non saranno limitate alla sola Italia. I mutamenti sono continentali, e cambierà anche l’Europa, dove si contrappongono due visioni della vita e dello sviluppo delle nazioni: da una parte c’è un europeismo di stampo burocratico-finanziario fondato sul potere che deriva dalla rendita; dall’altra invece una concezione che si fonda sulle potenzialità delle nazioni. In Italia abbiamo grandi eccellenze, potremmo presentare una proposta che unisca non solo saperi, tradizioni e storia, ma anche le nostre produzioni, dalle moto alla ricerca meccanica. Ma nell’agenda Monti non si tiene affatto conto di questo ruolo italiano, c’è una miopia di fondo che ci relega ad un ruolo di secondo piano nell’UE. Eppure ci sono grandi opportunità: il baricentro geopolitico mondiale si è spostato nel Mediterraneo dall’asse Nord America-Nord Europa. Noi siamo nel mezzo del Mare Nostrum ma senza un protagonismo definito. Dopo vent’anni di carriera diplomatica all’estero, impegnato nel promuovere l’Italia in tutte le sue forme, adesso sono candidato al Senato: c’è una continuità tra il mio orizzonte professionale e l’impegno politico.»

La sorte della politica italiana non è molto dissimile da quella dei governi spagnoli e francesi, commissariati da Germania e «BCE». C’è spazio per un progressivo recupero della sovranità nazionale?

«L’Italia deve essere capace di governare i processi in atto, rendendosi attore di primo piano su sviluppo, immigrazione, attrazione di capitali dall’estero: quest’ultimo tema è qualcosa di ben differente della svendita dei gioielli nazionali. Con le risorse straniere oltre a dare un ritorno economico a chi investe, bisogna creare strutture che restino all’Italia. Questo è il riuscito modello cinese.»

 Quanta autonomia consentono alla politica nazionale i trattati internazionali sottoscritti dalla fine degli anni ottanta in poi?

«Dobbiamo rapportarci agli altri Paesi europei che sono firmatari come noi di trattati continentali. Gli spagnoli, da questo punto di vista, hanno preparato per tempo i propri esponenti nelle sedi comunitarie: erano formati strategicamente come una classe dirigente in grado di negoziare gli spazi iberici nell’UE. L’Italia, invece, non ha mai avuto questi profili. I nostri interessi si possono dunque perseguire ma deve cambiare l’approccio: abbiamo riposato troppo sugli allori, confrontandoci con i nostri concorrenti senza la necessaria aggressività e spregiudicatezza. I paladini dell’integrazione sono gli italiani: ma vivono questo ruolo come un mantra, incapaci di mungere la mucca europea come fanno i nostri avversari. E nonostante tutto siamo la terza economia dell’UE, pur pagando come contributori quello che poi ci riprendiamo con i fondi comunitari.»

I partiti italiani sono indeboliti da polemiche anticasta, corruzione e progressiva riduzione dei poteri. È possibile immaginare il sorgere di un movimento di destra sovranista?

«La prossima competizione elettorale sarà un momento nel quale dimostrare la differenza tra la concezione della destra sociale e quella del centrodestra che ha governato negli ultimi vent’anni. Sono gli elettori a dover perimetrare lo spazio della destra sociale che, pur avendo una tradizione importante, non ha mai inciso – se non a livello locale – nelle dinamiche nazionali.»

 C’è un rischio frazionismo? Tante sigle per pochi eletti?

«Questo è il vero ostacolo interno. Da sempre mi sono impegnato a destra, nel MSI e nel Fronte della Gioventù, prima della carriera diplomatica, con una prospettiva unitaria, di riaggregazione delle esperienze migliori dell’area. E adesso sono deluso dalla parcellizzazione di un mondo. Il popolo avrà difficoltà nel riconoscere le varie proposte. La destra, intesa come categoria politica, deve invece acquisire una sempre maggiore identità, all’interno di una coalizione che abbia un orizzonte di governo, svolgendo il ruolo di bussola, ricordando l’impegno preso con gli elettori.»

 Come giudica il ventennio della destra di governo, dal «MSI» ad «AN» al «PDL»?

«Non ho visto in questi anni cambiare la classe dirigente. E’ mancato il coraggio politico per governare le strutture dello stato, usando le leve del potere per dare forma a una visione del mondo.»

 A chi è addebitabile la responsabilità di aver polverizzato la destra in Italia?

«Ai vertici del MSI e di AN. Fini potrà giustificare le sue scelte, ma di fatto il consenso del 1993, con il successo delMSI a Roma e Napoli, è stato dilapidato.»

Come giudica la politica estera del centrodestra nel ventennio berlusconiano? Chi proseguirà la politica di attenzione proposta verso la Russia e verso il Medio Oriente? –

 

«In questi anni con il Cavaliere fare promozione dell’Italia alla Farnesina era facile: c’era appoggio da Roma, un’aria di ottimismo sia delle piccole e medie imprese che delle categorie produttive. La Farnesina aveva un ruolo essenziale nell’equilibrio dello Stato. Nelle riunioni percepivamo da parte di Palazzo Chigi uno sforzo per portare una immagine rinfrescata e accattivante dell’Italia all’estero. Adesso invece il ministero degli Esteri ha un ruolo più ridotto, nella cooperazione come nelle dinamiche comunitarie. La rete diplomatica che c’è all’estero appare sottoutilizzata. La Russia? Con Putin è stata giocata la carta dei rapporti personali sullo stesso livello dei nostri partner. Gli USA hanno sopportato male l’attivismo italiano sul fronte russo… Da destra è possibile portare avanti questo protagonismo italiano nello scenario globale, a patto di non farsi sfuggire una nuova occasione: avere una politica estera significa sapere quando intervenire o puntare i piedi. In Giappone, la presenza nello schieramento di una forza di destra può servire come appoggio e pungolo nell’azione del governo di coalizione.»

Ci sono nello scacchiere internazionale «leader» o esperienze politiche da prendere come modello per la destra italiana?

«Guardo ancora al Giappone, dove il governo ha istituito il ministero della rinascita economica. E proprio Akira Amari, che presiede questo ministero, ha fatto approvare al nuovo esecutivo di Shinzo Abe fondi straordinari (180 miliardi di euro) per uscire dalla crisi. Altro che l’Italia, in cui i nostri grandi tecnici si sono dimostrati solo timonieri del declino e del sottosviluppo. In tempi di crisi non bisogna farsi prendere dalla sindrome del piccolo cabotaggio, ma reagire con una visione.»

Il tema immigrazione si incontra sempre più con quello dell’identità e della cittadinanza. Quali sono le colonne d’ercole da non superare?

«Bisogna tracciare una linea tra diritti civili e nazionalità: sono sposato con una giapponese e se vado in Giappone posso avere la residenza, mentre è molto difficile ottenere la cittadinanza. Non deve diventare impossibile acquisire la cittadinanza italiana, ma allo stesso modo non deve essere intesa solo come uno strumento: con questo materialismo si corre il rischio di sfasciare l’integrità del Paese.»

 È stato al centro di un caso giornalistico, divenuto poi una «querelle» diplomatica per aver cantato ad un concerto di «CasaPound». Dopo l’ultimo pronunciamento del «TAR» di Roma, che lezione se ne può trarre?

«L’insegnamento è che non bisogna mai accettare né cedere a questo tipo di persecuzione. Il TAR, infatti, ha stabilito che non c’era alcun motivo per richiamarmi dal consolato di Osaka in Italia. Ai tempi ho accettato l’indirizzo del ministero di non replicare alla stampa: forse se avessi puntualizzato fin dal primo momento, la vicenda avrebbe preso un’altra piega. Dalla Farnesina non c’è mai stata alcuna precisazione sul mio ruolo, ma solo dichiarazioni dai vertici velenose nei miei confronti (“ti devi vergognare”): una amministrazione difende i suoi uomini…»

Passiamo alla sua esperienza musicale sulla scena del «rock» identitario: che importanza ha nella formazione dell’immaginario e del retroterra culturale delle classi dirigenti dell’area non conformista?

«Ho iniziato a fare politica a sedici anni e fin dai primi passi mi sono dedicato alla metapolitica: dai manifesti all’arte alla musica. La sfida era cercare di produrre uno stile che potesse sfondare all’esterno, essere riconoscibile ed accettato con tutta la propria storia.»

 «Come mai» dei «SottoFascia Semplice» – di cui è la voce – ha collezionato oltre centomila visualizzazioni su «YouTube».

«Sono cresciuto in Inghilterra, a tredici anni suonavo musica punk. Non mi piaceva la musica leggera italiana e nemmeno le ballate della musica alternativa di destra. Con i gruppi di cui ho fatto parte, abbiamo innovato generi e testi, divertendoci e non trascurando la ricerca musicale, apprezzata da un pubblico ampio.»

 Nell’area non conformista c’è sempre stata grande attenzione per scrittori giapponesi come Yukio Mishima e cineasti come Takeshi Kitano. Cosa si muove nel mondo culturale e politico della destra in Giappone?

«Mishima è conosciutissimo in Giappone, ma all’estero è addirittura idolatrato. I giapponesi lo considerano un grande artista e insieme un personaggio eccessivo e controverso. Non è ritenuto uno scrittore fascista. NeiSottoFasciaSemplice l’autore dei testi si traveste sempre con una maschera: ora Gambadilegno, ora da Perseo, ora da crociato ed è sempre presente un richiamo alle poetiche di Mishima. Kitano è invece un anticonformista, nella sua patria famoso come comico e come dissacratore, mentre in Europa hanno avuto successo i suoi film che ricordano il genere pulp di Quentin Tarantino. Infine Akira Kurosawa offre con le sue pellicole una critica sociale straordinariamente attuale. Tra gli autori più interessanti, c’è anche la scrittrice Natsuo Kirino, con il romanzo noir, Le quattro casalinghe di Tokio.»

Dove si formano le nuove classi dirigenti? La rete «web» che peso può avere sui giovani?

«Chissà da dove arrivano le nuove leve della destra. Il web e l’elettronica o le tecnologie facilitano la politica, e attraverso l’estetica è possibile mandare dei messaggi differenti. La rete, però, toglie molta energia alla vitalità del nostro mondo, facendo perdere il contatto con la realtà e con il popolo.»

Quali autori aiutano a orientarsi nel nuovo millennio?

«Adesso, per motivi legati al mio impegno politico al Sud, leggo i saggi di Pino Aprile, Terroni o Mai più terroni. La fine della questione meridionale. Ma non trascuro René Guénon.»

Un libro, un disco e un film per i lettori de «Il Borghese»?

«Fuochi (Vallecchi) di Pietrangelo Buttafuoco; a me piace la cinematografia apocalittica, come la serie The Walking Dead o i classici di George A. Romero. Nessuna indicazione musicale, ho gusti molto sperimentali.»

Michele De Feudis

@waldganger2000

* da Il Borghese di febbraio 2013

Michele De Feudis

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Michele De Feudis su Barbadillo.it

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