Alzi la mano chi ha capito chi sono i Forconi d’Italia. Mm, vediamo. Ah, dall’aula del Senato di sbraccia Enrico Letta. Sentiamolo: «Lisciare il pelo per la quale chi rappresenta una minoranza di una categoria economica possa parlare a nome di tutti è uno stravolgimento delle regole della democrazia che non dobbiamo seguire». Uno. Due? «Non scambiamo le proteste degli autotrasportatori con un’altra cosa, il governo affronta la discussione con i rappresentanti delle categorie, se il governo indica forme di accordo che tengono insieme più del 90% di quelle categorie lì, venire a dire che quello che sta accadendo è la rappresentanza del Paese non è vero». Secondo il premier, insomma, le proteste di Torino e quelle di Cerignola e quelle ancora di Roma o Palermo sono animate dagli “autotrasportatori”, per un problema di “autotrasportatori”.
Da parte del governo – dal quale ha fatto la voce grossa il ministro dell’Interno Angelino Alfano versione Rudolph Giuliani – pare che abbiano le idee molto chiare. Plaude la sinistra del Pd che con Pier Luigi Bersani ritiene «indecente» pensare di incontrare i manifestanti. Stesso discorso per la Cgil che ha chiamato i suoi a «rafforzare i presidi davanti le confederazioni». A quanto pare, quindi, ci si troverebbe davanti a una protesta corporativa, violenta e con pulsioni «autoritarie».
Un attimo. Le immagini, le interviste, i video, testimonierebbero anche altro. Cosa? Un movimento tentacolare, liquido, intergenerazionale. Di camion poi, a dire il vero, non se vedono così tanti. Di persone sì. E le richieste, per quanto grossolane, non si fermano alle accise sulla benzina se, come abbiamo visto, si manifesta sotto le sedi di Equitalia, si prendono di mira i grandi centri commerciali e i palazzi delle assemblee regionali. Proprio sicuri che con l’invocazione legge e ordine e l’allarme golpista si sia risolto tutto? Sulla questione forconi hanno alzato la manina per dire la loro anche altri che non siano Letta, Bersani e Camusso. Sentiamo che dicono, magari…
«SONO I FIGLI DELLA CRISI»
«In piazza ci sono i figli della crisi». La pensa così, ad esempio, Michele Brambilla – giornalista de La Stampa e studioso dei fenomeni sociali. «Bisogna stare attenti a liquidare la questione solo come un problema di ordine pubblico» spiega il giornalista che ha studiato tutti i movimenti dal ’68 a oggi. Sul profilo della protesta Brambilla, poi, allarga le maglie: per la prima volta «in piazza non vediamo studenti o lavoratori dipendenti, ma imprenditori. Diciamo pure piccoli imprenditori: padroncini, agricoltori, allevatori, ambulanti, tassisti, negozianti, partite Iva». Non solo: «Non ci sarebbe da stupirsi se nei prossimi mesi accanto a questo un po’ ambiguo popolo dei forconi dovessero scendere in piazza, con eguale rabbia e violenza, tanti italiani ridotti allo stremo dalla crisi, dalle tasse, dalla burocrazia».
«IN PIAZZA SCENDE L’ITALIA CHE SI SENTE SOLA».
A dare manforte a questa suggestione arriva Giuseppe Roma, direttore del Censis. Sul Fatto quotidiano il direttore dell’importante centro demoscopico racconta da chi è rappresentata l’Italia dei forconi: «È l’Italia di chi ha tenuto duro fin qui. Ma adesso si sente solo davvero. In pericolo». Sulle “strumentalizzazioni” politiche, poi, Roma va più a fondo dei semplici allarmisti: «È un sistema complesso in cui i movimenti politici possono ottenere un ruolo di guida, ma la spinta vera è personale, intima. Non si tratta di populismo né di qualunquismo: stavolta lo scenario è originale». Rispondendo poi a chi, come il premier Letta, crede che la protesta sia un fatto di richieste di categoria, il direttore del Censis introduce un elemento molto interessate: «Gli autotrasportatori avevano avanzato una serie di richieste e sono stati ricevuti dal ministro, hanno ottenuto alcuni risultati immediati e un’attenzione non così comune in passato. Eppure i tir continuano a bloccare le tangenziali e le aree industriali». Non solo “reazione” alle tasse, insomma. Ma che cosa vogliono questi forconi? «Dimostrare a tutti che esistono, e che la politica li ha insultati a lungo. Per il resto le polemiche restano vaghe, le proteste pure: dalla finanza globale a Equitalia, dai cinesi che espropriano le attività commerciali alle mancate politiche su industria e agricoltura il mescolone frulla tutto».
«L’ORDINE PUBBLICO NON BASTA»
Anche la stampa di centrodestra cerca di uscire dall’allarmismo tout court per entrare un po’ più a fondo nel problema. Lo fa Maurizio Belpietro, direttore di Libero: «Se si vogliono evitare tensioni e rischi a nostro parere c’è una sola via e non passa dalla repressione del fenomeno». La protesta dei forconi «non è – o per lo meno non è solo – una questione di sicurezza, da risolvere mandando il reparto celere, ma è una questione di malcontento». Belpietro questo malcontento lo racconta così: «Chi ha deciso di mettere una tenda di fianco ai caselli dell’autostrada, lasciando la cascina, i campi e le mucche da mungere, e chi ha rinunciato a giornate di lavoro alla guida del proprio camion pur di sfilare in corteo, non è un contestatore di professione, né un perditempo. È semplicemente un artigiano o un lavoratore che non ce la fa più e chiede che il sistema cambi».
Da tutte e tre le analisi emerge un punto: in piazza in queste ore c’è l’Italia profonda non una serrata di fan della giunta dei militari in stile cileno. Un’Italia impaurita dalla crisi. Un’Italia che dallo Stato si aspetta magari risposte, non le botte.
@rapisardant