Il 19 novembre scorso, ho assunto, con me stesso, questo impegno, quanto alla recensione di “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, di Agnese Borsellino e Salvo Palazzolo (Feltrinelli – 2013): “Ho già ordinato il volume; lo leggerò tutto d’un fiato; la vendetta si consuma lentamente; la gioia, per la bellezza sotto gli occhi, si beve in un sorso solo”. Solo poche ore fa ho potuto acquistare il volume di duecento pagine, e l’ho letto senza risparmiarmi, come da contratto: chose promise, chose due.
E’ il racconto di una famiglia borghese, colta e timorata di Dio, come non se ne sentono più; farmacista nel quartiere popolare della Kalsa, il padre di lui, morto a cinquantadue anni; presidente del Tribunale di Palermo, il padre di lei. Sfollati ad Alcamo, i Borsellino, durante la guerra; vissuta “fra gelsomini e strade eleganti” Agnese Piraino Leto.
Si conoscono, nello studio di un notaio, nel 1968; lei ha studiato lettere e lavora all’università, lui è già magistrato dal 1965, e ha lavorato, dando lezioni private, prima di laurearsi.
Si incontrano ancora, nei pressi di Via Maqueda, passeggiano per la strada più illustre della città, si innamorano e si sposano qualche mese dopo, il 22 dicembre di quell’anno (e tutti a chiedersi se “qualcosa fu”, ma non era successo proprio niente); tre figli, Lucia, Manfredi, Fiammetta.
E il “soggiorno obbligato” di tutta la famiglia, con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, nell’Isola dell’Asinara, ad agosto del 1985, dopo l’assassinio del commissario Beppe Montana (trentaquattro anni, non ancora compiuti) e del vicequestore Ninni Cassarà (trentotto anni, non ancora compiuti).
E l’amore coniugale, tenero, spudorato e struggente, con l’ossessione di lui di raccontare a lei, ogni giorno, una storia nuova: “L’amore si mantiene fresco con una novità al giorno. Che non è il fiore, o un regalo qualsiasi. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così la nostra favola non finirà mai, finché vivrò”.
E poi, i modesti viaggi, le non lussuose villeggiature, tutti e cinque, insieme, sempre; il composto ordine borghese di una famiglia come tante.
Il 23 maggio del 1992, Giovanni Falcone, la moglie e i tre uomini della scorta saltano in aria, a Capaci; Borsellino, indicando le bare degli uccisi, si rivolge, a bassa voce, ai colleghi della Procura di Palermo con queste parole: “Chiunque intenda gettare la spugna lo faccia adesso. Perché questo è il destino che può toccarci”; alla fiaccolata dell’Agesci, il 21 giugno 1992, Paolo guida gli scouts cattolici, con la torcia in mano e lo sguardo impietrito; il 19 luglio, tocca a lui ed alla sua scorta essere avvolti dal fuoco del tritolo omicida, in Via D’Amelio.
Solo Lucia è ammessa a vedere i resti carbonizzati del padre ed a provvedere alla vestizione della salma; Manfredi lo ha visto vivo, per ultimo, porgendogli l’agenda rossa che non è stata più ritrovata; Fiammetta tornerà dalla Thailandia per l’estremo saluto.
Tutto il libro è una storia degli avvenimenti passati, con il contrappunto dell’attualità, a volte dolce, come le mille attestazioni di gratitudine e incondizionata ammirazione per il suo uomo; a volte amara, come i misteri di questo misterioso Paese che è l’Italia. Per la quale Paolo Borsellino usava dire alla compagna della sua vita: “Non basta canticchiare Fratelli d’Italia, bisogna amare la nazione, la patria. Solo chi ama veramente la patria ama se stesso….Non permetterò a nessuno di dividere il nostro paese”. Già, il nostro Paese, il nostro Bel Paese, che è soltanto un formaggio tenero.
Duecento pagine umane, troppo umane; ventotto fotografie, in bianco e nero, e a colori.
Gente normale, che vive normalmente e che abbandona questa vita, come ha fatto Agnese Borsellino il 5 maggio di quest’anno, dopo le lunghe sofferenze cagionatele dalla leucemia, lasciando questo libro ancora in cantiere.
Oltre che una lunga scia di profumo di gelsomino, di ordine, di odore di bucato.
*“Ti racconterò tutte le storie che potrò” di Agnese Borsellino e Salvo Palazzolo (pp. 224, euro 18, Feltrinelli)