Cronache da due piazze di Roma. Poche ore prima del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi.
Qui via del Plebiscito. Fin dalle prime ore del mattino nei pressi di palazzo Grazioli iniziano ad arrivare i sostenitori di Silvio Berlusconi. Si viene a sapere presto che il leader non andrà a Porta a Porta per seguire in diretta la propria decadenza. In tanti sperano che lo faccia assieme a loro ma alla fine non lo farà nemmeno in piazza. A ora di pranzo uno striscione viene fatto togliere con su scritto «È un colpo di Stato». Scattano le polemiche e le tensioni. Tra i presenti in strada c’è chi prova a forzare il cordone per entrare dentro palazzo Grazioli, ma vengono fermati e portati via dalla polizia. Ma non accadrà più nulla: gli allarmi dei giorni scorsi erano infondati.
Dalla piazza i manifestanti rappresentano appieno le caratteristiche del popolo di Forza Italia. Vengono per lo più dal Mezzogiorno. «Non si può addossare la responsabilità della crisi economica a Berlusconi – spiega un signore sulla quarantina – Sennò dovremmo risalire ai mali di cinquant’anni di Dc e poi indietro fino alla mela mangiata da Eva». «Siamo qui per difendere la sovranità popolare», spiega Marta da Terni. Da un altro arriva l’iperbole: «Silvio è come Gesù». Ci sono anche i “falchetti” di Daniela Santanchè, vorrebbero marciare fino al Quirinale. Ma non se ne fa niente.
Poco prima delle 17 prende finalmente la parola lui. «Non ci ritireremo in qualche convento – rilancia subito Silvio Berlusconi – noi stiamo qui, restiamo qui, resteremo qui. Nessuno di noi può stare più tranquillo sui propri diritti, sui propri beni e la propria libertà. E allora restiamo in campo. Non disperiamoci se il leader del centrodestra non sarà più senatore: ci sono altri leader di partito che non sono parlamentari e mi riferisco a Renzi e Grillo che dimostrano che anche da fuori si può continuare a battersi e combattere per la nostra libertà».
Qui Palazzo Madama. A poche centinaia di metri si sono dati appuntamento coloro i quali intendevano festeggiare la decadenza. Sono una dozzina. Molti di più i giornalisti. «Dov’è finito il “Popolo viola”?» Gianfranco Mascia, il leader di un movimento che anni fa riusciva a portare in piazza migliaia di persone, cerca di abbozzare una giustificazione: «Siamo pochi perché gli orari della decadenza sono cambiati. Ma soprattutto per colpa del berlusconismo che ci ha reso tutti più poveri…».
Tra il manipolo di manifestanti c’è una ragazza dipinta con i colori dell’Italia, tiene un cartellone. «Non sono italiana, vengo dal Costa Rica…». Sì, ma perché sei in piazza? Sorride.