“Le voci di dentro”, una commedia di Edoardo con un sapore particolare. I toni cupi prevalgono, sogni e realtà quotidiana, concreti rapporti di vita e auto-illusioni si intrecciano in una Napoli poverissima, appena reduce dalla sconfitta in guerra, dal caos dell’otto settembre. Si avverte il senso di insicurezza suscitato dal crollo di uno Stato che fino a qualche anno prima si percepiva come granitico. Ma non è solo lo Stato a barcollare come un gigante colpito a morte. Le tre istituzioni cardine della borghesia, “Dio”, “patria” e famiglia”, quelle tre istituzioni che il fascismo-regime aveva tenuto insieme con il concordato, l’oro alla patria e l’esaltazione dell’italianità feconda sono travolte dal marasma. E i personaggi di De Filippo brancolano nel buio cercando con incerta logica un filo di Arianna nel labirinto dei giorni nuovi. Qui Edoardo per davvero si afferma come erede di Pirandello.
Questa eredità, indubbiamente gravosa, Toni Servillo ha portato in Russia nella duplice veste di attore e regista. Dicevamo: De Filippo & Pirandello. E’ proprio Servillo, con una felice intuizione, a cogliere una ulteriore affinità: quella tra Eduardo e Gogol. “Le similitudini fra napoletani e russi nella letteratura e nel teatro sono forti – dice – la vicinanza fra Eduardo e Gogol potrà risultare sorprendente per il pubblico di San Pietroburgo”.
Per il pubblico russo, le commedie di Eduardo de Filippo non sono un inedito. Il maestro napoletano compì nel 1962 una fortunatissima tournée. È noto, Eduardo de Filippo era comunista convinto; per anni i rapporti con il fratello Peppino si interruppero, perché quest’ultimo volendo contestare il piglio autoritario con cui il capocomico dirigeva la sua compagnia esclamò al suo indirizzo un sarcastico: “viva il Duce!” Eduardo fu raggelato dal paragone e… autoritariamente (!) allontanò l’incauto fratello minore dalla scena. E tuttavia, pensiamo che non fu l’ideologia marxista a creare il feeling tra il maestro-indagatore dell’anima napoletana e il pubblico russo. Forse fu quella felice commistione tra sogni e aspirazioni quotidiane, caratteri meschini e piccole nobiltà quotidiane.
Questi motivi conservano intatti la loro freschezza. La denuncia del precipizio morale in cui può cadere la società umana e l’analisi della “cattiva coscienza” dei personaggi che si alternano sulla scena della vita portano un contributo significativo alla conoscenza di quella età del “nichilismo” che per primi i romanzi russi di Dostoevskij magistralmente descrissero.
La cultura europea ha tutto da guadagnare dall’intensificarsi delle collaborazioni tra i nostri talenti e i protagonisti della scena russa. Servillo ha espresso il suo desiderio di lavorare un giorno con il regista teatrale Dodin e con il resista cinematografico Alexander Sokurov. Sokurov, lo ricordiamo, nel 1911 ha realizzato un film sul “Faust” e successivamente ha rivelato il progetto di un opera cinematografica sulla Divina Commedia (non cinepanettoni insomma…).