Negligenza o superomismo? Cosa si cela dietro due grandi sciagure come il Cermis e il naufragio della Concordia? Ne I due capitani. La folle sfida del comandante Schettino e del pilota dei Marines Ashby (Tullio Pironti editore, 182 pagine, 10 euro) il giornalista Rai Francesco Vitale offre una panoramica su vicende che, nell’arco di quasi un quindicennio, hanno sollevato rancori, perplessità, polemiche sulla condotta di piloti e uomini di mare.
Ambizione, scarso senso della responsabilità, falsità: questi, secondo l’autore, i punti in comune tra il Comandante della Costa Concordia Francesco Schettino e il capitano dell’aviazione dei Marines Richard Ashby, entrambi colpevoli di aver giocato con le vite di persone innocenti.
Ashby stava girando un filmino amatoriale quando il suo Grumman EA 6B tranciò un cavo della funivia del Cermis. L’aereo, sviluppato per la guerra elettronica, ha una velocità di crociera di 770 km/h, che possono diventare mille in caso di necessità. Ma quella del 3 Febbraio 1998 non era una missione di guerra, quanto una normale esercitazione prima del rimpatrio. Gli uomini del Grumman, di stanza ad Aviano, tentarono un ultimo colpaccio per vincere una sfida: volare basso e a tutta velocità, malgrado quelle montagne fossero affollate di turisti.
Gioco, svago, euforia, clima disteso e anche troppo: bastò una manovra errata della cloche per far piombare nell’abisso una cabina piena di turisti. E a una manovra sbagliata e a troppa euforica sicurezza si devono anche i trenta morti del Giglio, nel Gennaio 2012. Schettino come Ashby? Secondo Vitale è proprio così: desiderio di spingersi oltre a scapito degli altri. Poi, una volta fatto il danno, neanche il coraggio di assumersi l’onere della tragedia.
Incipit del volume di Vitale parti del diario di Rosy, una passeggera siciliana che, sulla Concordia, pensava di realizzare il suo sogno. Rosy, parrucchiera trentacinquenne, stava partecipando ad un reality show. Durante la cena di gala a bordo del gigante del mare un contraccolpo: pochi istanti, subito tanta paura; poi, dopo un momento di sconcerto, la certezza di ciò che accade.
Terrore, fuga disperata dei passeggeri, assalto alle zattere di salvataggio, isteria. Poi, beffa del destino, la lancia con a bordo l’equipaggio che scivola accanto ai sopravvissuti provocando rabbia mista a dolore e costernazione.
Gli analisti e gli studiosi delle sciagure aeree e navali non hanno mai dubbi: 9 volte su 10 l’errore fatale è commesso dall’uomo. Sbadataggine, fretta e anche follia vissuta in quel momento come avventura.
D’altronde fu l’eccessiva sicurezza dei piloti coreani del volo KAL 007 a spingere 250 passeggeri verso la morte. Il I settembre 1983 il B747 della Korean Airlines sconfinò nello spazio aereo sovietico. Prima che comandante e primo ufficiale potessero rendersene conto un caccia intercettore russo colpi il velivolo. facendolo precipitare in mare.
Cinque anni più tardi, pochi giorni prima di Natale, un altro 747 in volo verso New York esplode nei cieli scozzesi. Fretta e incuria dietro al disastro: la compagnia Pan Am contravviene alle nuove norme sul controllo del numero dei bagagli imbarcati e una un’anonima borsa fa il resto. Un chilo di plastico provoca 259 morti in volo e 11 a terra, questi ultimi i cittadini della sottostante Lockerbie travolti dai resti fiammeggianti dell’apparecchio.
I due capitani non è un tragico bollettino di guerra, quanto una seria inchiesta giornalistica che ricostruisce il profilo non rassicurante di due uomini preda del superomismo e privi di senso della responsabilità, ai quali tuttavia il destino beffardo ha assegnato ruoli delicati di tutela e salvaguardia dell’altrui sicurezza.