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L’intervista. L’architetto Riccardo Forte: “Il DO.CO.MO.MO. e la sfida della modernità”

by Mario Bozzi Sentieri
17 Novembre 2013
in Cultura, Le interviste
0
Casa delle Armi - Luigi Moretti
Casa delle Armi – Luigi Moretti

DO.CO.MO.MO.: l’acronimo sarebbe piaciuto a Marinetti e alla sua pattuglia di modernissimi. In realtà dietro la sigla si nasconde il più serioso DOcumentation, COnservation of buildings, sites and neighbourhoods of the MOdern MOvement, un Comitato internazionale nato per la documentazione e la conservazione degli edifici, dei siti e dei complessi urbani del Movimento Moderno. Del sodalizio, articolato su vari comitati nazionali, parliamo con l’architetto Riccardo Forte, 46 anni, dottore in ricerca in Storia dell’Architettura Moderna e Contemporanea all’Université de Paris I Panthéon-Sorbonne (con una ponderosissima tesi su “L’architettura coloniale italiana in Libia. Le dottrine, i programmi, le pratiche del Moderno. 1930-1940”). Membro del DO.CO.MO.MO. da oltre un decennio, l’arch. Forte è da tempo impegnato sul piano della ricerca – al suo attivo varie partecipazioni a congressi internazionali e pubblicazioni scientifiche – e della documentazione svolta congiuntamente all’interno delle sezioni italiana e francese dell’organizzazione.

Andiamo con ordine: dove e perché è nato il DO.CO.MO.MO. ?

«L’associazione – ci dice Forte – è nata nel 1988 in Olanda, presso il Politecnico di Eindhoven, su iniziativa congiunta degli architetti Hubert-Jan Henket e Wessel De Jonge, sulla scia di un progetto di ricerca la cui finalità era la messa a punto di un metodo efficace per la salvaguardia degli edifici del XX secolo.  DO.CO.MO.MO.  ha un duplice obiettivo: da una parte mettere a punto un metodo di catalogazione degli edifici moderni, dall’altra affrontare le questioni tecniche del restauro e della conservazione attraverso un confronto di esperienze».

Come ci si è mossi per realizzare questi “orientamenti” ?

«Le iniziative di DO.CO.MO.MO. sono dirette verso un panorama assai diversificato di operatori, che include figure professionali legate al settore delle costruzioni, come architetti, ingegneri, urbanisti, ecc.; studiosi e ricercatori di storia dell’architettura, dell’arte, delle arti applicate, della costruzione, funzionari delle istituzioni preposte alla conservazione, oltre a critici dell’architettura; politici e manager che si occupano di questioni legislative e di finanziamento degli interventi per il restauro; funzionari e consulenti degli enti responsabili. Il carattere interdisciplinare di DO.CO.MO.MO. International è uno dei suoi punti di forza, dal momento che, nel settore della conservazione e della salvaguardia, le occasioni di incontro e di dibattito tra specialisti sono sempre più rare. DO.CO.MO.MO. International ha due strumenti di diffusione delle sue iniziative: le conferenze internazionali biennali, con i relativi atti, e il “DOCOMOMO Journal».

In che modo è cresciuta l’associazione ?

«La piattaforma di dibattito lanciata alla fine degli anni Ottanta è stata accolta in tutto il mondo con entusiasmo: oggi sono 52 i gruppi di lavoro che siedono nel consiglio di DO.CO.MO.MO. International e l’associazione è diventata un importante network che coinvolge circa 2000 persone, dall’Europa al Giappone all’Australia, al Nord e al Sud America».

E in Italia ?

«DO.CO.MO.MO. Italia nasce nel 1990 come uno dei primi gruppi nazionali di DO.CO.MO.MO. International e si costituisce formalmente come associazione culturale nell’ottobre 1995. Ha come obiettivo la documentazione e la conservazione degli edifici e dei complessi urbani moderni e opera per la valorizzazione dell’architettura moderna. Considera finalità principali la conoscenza e la documentazione del patrimonio architettonico moderno, la promozione della sua salvaguardia e lo studio di metodologie e criteri di intervento appropriati e rispondenti al suo valore testimoniale. In questa azione ha come interlocutori studiosi, istituzioni preposte alla tutela (Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Soprintendenze), centri di studio, dipartimenti universitari e enti locali nonché imprese impegnate nel campo del restauro».

Qual è il periodo temporale del “moderno” ?

«Il periodo di riferimento è generalmente il cinquantennio 1925-1975, a partire dalle esperienze storiche delle prime Avanguardie della fine degli anni Venti-inizio anni Trenta del Novecento – il cosiddetto “modernismo eroico” dei “Trente Glorieuses”. È il periodo, collocato tra le due guerre mondiali, del Movimento Moderno, teso al rinnovamento dei caratteri, della progettazione e dei principi dell’architettura, dell’urbanistica e del design. Ne furono protagonisti quegli architetti che improntarono i loro progetti a criteri di funzionalità e a nuovi concetti estetici. Ma il moderno nella sua accezione più generale va oltre, sviluppando le tesi dottrinali e programmatiche del Movimento Moderno negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, fino ad esaurirsi storicamente all’inizio degli Settanta del XX secolo.

Negli ultimi anni, il DO.CO.MO.MO. ha cercato di allargare le proprie competenze disciplinari e la propria “visione” dottrinale del Movimento Moderno, ponendo in essere un approccio più inclusivo e meno dogmatico. Tale approccio non appare limitato allo studio e alla documentazione del moderno nella sua accezione “purista” riferibile alle dottrine dei Padri fondatori del Movimento, ma è più attento alla originalità delle esperienze costruttive locali prodotte nei decenni successivi dalle Nazioni dell’Africa, del Sud America e dell’Asia. Recentemente grande attenzione è stata dedicata al modernismo tropicale dei Paesi usciti dall’esperienza storica del colonialismo occidentale».

Esiste una consapevolezza sul valore di questo patrimonio ?

«L’architettura moderna in Italia sconta tuttora un pregiudizio ideologico di fondo, riconducibile all’equazione semplicistica Razionalismo italiano-Fascismo. Tale pregiudizio, prodotto dalla storiografia architettonica dal dopoguerra e protrattosi fino all’inizio degli anni Novanta del Novecento, persiste tuttora in alcuni settori della comunità scientifica italiana: per alcuni accademici, la damnatio memoriæ inflitta al patrimonio architettonico moderno non è ancora caduta in prescrizione. Nell’ultimo decennio si è assistito tuttavia a un graduale mutamento di indirizzo culturale e a una progressiva acquisizione critica del valore culturale e sociale del patrimonio architettonico moderno. Peraltro, occorre rammentare che il “Moderno” non si esaurisce in Italia nell’esperienza storica del Razionalismo prodotta durante il Ventennio fascista, ma prosegue nel dopoguerra e oltre con quello che si potrebbe semplicisticamente sintetizzare “Secondo Modernismo”.

Anche sul piano più generale, si assiste a un rinnovato interesse, da parte dei media e dell’opinione pubblica, del patrimonio architettonico ascrivibile all’architettura moderna. L’assenza di una prospettiva storica di lunga durata – è certamente più semplice attribuire il valore patrimoniale di monumento e di bene culturale a un edificio storico risalente ad alcuni secoli fa che a un fabbricato moderno a carattere utilitaristico – non ha certamente giovato alla ricezione critica di tale patrimonio. La sfida attuale risiede a mio giudizio proprio nell’uscire dalla logica specialistica propria degli “addetti ai lavori” e di promuovere una coscienza critica diffusa».

E qual è lo stato di conservazione del patrimonio architettonico moderno in Italia ?

Nell’ultimo decennio, la diffusione della conoscenza delle opere di architettura moderna ha portato a una maggiore attenzione verso questo patrimonio da parte delle istituzioni preposte alla conservazione. Benché allo stato attuale non esista una letteratura del restauro del moderno comparabile per dimensione a quella afferente gli edifici storici “tradizionali”, a partire dagli anni Duemila sono stati condotti, con scrupolo filologico, interventi esemplari di recupero di testimonianze significative del Razionalismo italiano come il Palazzo delle Poste a Roma (2001), costruito nel 1933 dall’arch. Adalberto Libera, o ancora il Palazzo della Civiltà Italiana nel quartiere dell’EUR (2010). Nondimeno, i restauri delle architetture del Novecento non hanno riguardato unicamente i grandi “monumenti del Moderno”, ma edifici altrettanto pregevoli, come ad esempio il complesso scolastico Raffaello Sanzio, opera giovanile realizzata a Trento da Adalberto Libera negli anni 1931-1934.

Oggi, gran parte del patrimonio architettonico moderno in Italia è sottoposto a vincolo: tuttavia, l’attribuzione di interesse culturale ex d.lgs. 42/2004 a un edificio moderno non lo preserva automaticamente da possibili alterazioni della sua natura patrimoniale, che comprende, occorre sottolineare, anche il suo “intorno”. È su quest’ultimo aspetto che occorre insistere, avviando interventi di sensibilizzazione culturale finalizzati a estendere il concetto di bene patrimoniale moderno: non più e non solo il manufatto, ma il sito, l’ambiente circostante che è parte integrante dell’opera compositiva di architettura.

Come ci sta muovendo per evitare la perdita di questo patrimonio ?

«In Italia, al di là del ruolo ricoperto dagli organismi istituzionali preposti alla conservazione (a livello nazionale, Il Ministero dei Beni Culturali e, in ambito regionale, le Soprintendenze, competenti territorialmente), una funzione rilevante è senz’altro attribuibile alle diverse Associazioni e ONG (Icomos Italia, DO.CO.MO.MO. Italia, Fai, Italia Nostra), che operano con successo nell’instancabile opera di documentazione e sensibilizzazione verso il patrimonio architettonico e ambientale nazionale. Tali enti offrono un importante contributo al dibattito sulle metodiche di conservazione e di protezione del patrimonio architettonico del Novecento, ancora in larga parte misconosciuto ed esposto alle aggressioni dell’incuria e della speculazione edilizia.

Al di là delle lodevoli iniziative condotte – congressi, petizioni, pubblicazioni scientifiche – la “sfida del Moderno” risiede proprio, a mio giudizio, nell’uscire dall’ambito disciplinare specialistico, per farsi componente attiva e risorsa – culturale, sociale ed economica – della società contemporanea. Come propriamente ricordato da Fabienne Chevallier, già Presidente DO.CO.MO.MO. France, “gli edifici moderni non sono enclaves sanctuarisées”, ma devono diventare luoghi possibili del contemporaneo al servizio della collettività. L’attualità del Moderno, il suo lascito ideale, risiedono nella continuità di quei valori – progresso civile, giustizia sociale, democratizzazione dei diritti e dell’estetica, innovazione tecnica – che, nel “decennio eroico” 1930-1940, animarono in Europa le prospettive programmatiche e l’opera di giovani architetti visionari».

@barbadilloit

Mario Bozzi Sentieri

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