Lo chiama ancora – ufficialmente – Popolo della libertà. Ma per poco. Perché Silvio Berlusconi «si onora di annunciare» – come si legge nella lettera mandata a tutti i componenti del Consiglio Nazionale – che il 16 novembre tutto tornerà come prima: il movimento tornerà a chiamarsi come nel 1994, Forza Italia. Ma la gioia di Berlusconi non sarà solo quella di decapitare quell’acronimo (Pdl) che non ha mai amato «perché non scalda». Il 16 novembre il leader potrà valutare l’entità del dissenso rispetto alla sua leadership nel partito..
Un’anticipazione del redde rationem – l’appuntamento era fissato per l’8 dicembre – che ha innervosito Angelino Alfano e messo in allarme di nuovo il fronte delle colombe. Eppure tutto sembrava rientrato con l’incontro dell’altro giorno a margine del quale Alfano festeggiava la promessa del Cavaliere: «Il governo è salvo». Poche ore dopo, però, la decisione del voto sulla decadenza del Cavaliere (convocata per il 27) e le nuove in termini di tassazione sulla casa, hanno rianimato i lealisti che, a quanto pare, sono riusciti a convincere Berlusconi sull’opportunità di verificare il grado di adesione dei “ministri” prima dell’appuntamento determinante.
Più che la legge di stabilità, insomma, sarà il voto palese in Senato quello nel quale Berlusconi diventerà un esponente dell’opposizione. Chi lo ha stabilito? La delibera votata all’unanimità (assenti Alfano e i diversamente berlusconiani) dall’Ufficio di presidenza: «Si ritiene assolutamente inaccettabile la richiesta di estromissione dal Parlamento italiano del leader del centrodestra, sulla base di una sentenza ingiusta e infondata». Su questo si voterà in Consiglio. Un punto che – come è noto – non è condiviso dal gruppo dei ministri che vede Alfano come frontman.
I governativi (come li chiamano in maniera spregiativa gli altri) o “innovatori”, come si autodefiniscono, corrono ai ripari e hanno pronto un documento nel quale si rivendica la leadership di Berlusconi ma, allo stesso tempo, la fedeltà alle larghe intese con questa formula: «Disattendere le istanze di stabilità significa tradire l’Italia, marginalizzare il centrodestra e allontanare la prospettiva di governo del Paese a tutto vantaggio della sinistra».
Si ritorna di fatto a ciò che il 2 ottobre avrebbe dovuto sancire l’abbandono del Pdl alle larghe intese, salvo ripensamento dell’ultimo istante di Berlusconi: la necessità di separare il destino giudiziario dalle sorti del governo. Un’occasione, per Alfano e i suoi, che sostengono che questo sia l’unico modo per salvare il Cavaliere. Un’ipotesi inaccettabile, per Raffaele Fitto e i leaalisti, che pensano invece come sia in atto una trappola per marginalizzare ed escludere il leader. Ipotesi nella quale, da tempo, si è iscritto Berlusconi stesso. Lo scenario di una scissione a questo punto, nemmeno tanto consensuale, riprende drammaticamente quota.