È il primo novembre 1913, per gli aborigeni delle isole Figi è “Tarowean”, il giorno delle sorprese. All’orizzonte, nell’immensità dell’oceano Pacifico, spunta un naufrago abbandonato su una zattera: è la prima immagine di Corto Maltese in “Una ballata del mare salato”, la storia d’esordio del marinaio creato dalla matita del più grande maestro del fumetto italiano, Hugo Pratt.
In realtà la vicenda del “gentiluomo di fortuna” si sarebbe dovuta concludere lì, sulle sponde del Pacifico e sulle stesse pagine che avevano ospitato la “Ballata”, quelle dell’effimera rivista Sgt. Kirk dove il racconto era uscito a puntate tra il 1967 e il 1969. Invece le avventure di Corto finiranno per accompagnare il suo creatore per il resto della vita: grazie a Pratt, e a Corto Maltese, il fumetto dimostra per la prima volta di possedere potenzialità espressive tali da sublimarlo in autentica “letteratura disegnata”, così come l’autore, che pure non disdegnava di definirsi “fumettaro”, amava descrivere la sua opera.
Certo, in Corto Maltese c’è l’eco di tutta la grande letteratura dei cantori del mare, da Stevenson a Melville, da Conrad a London, da Kypling a Hemingway, ma anche della narrativa d’avventura “minore” di uno Zane Grey, o dei simbolismi alchemici e massonici (cui Pratt fu iniziato) che affiorano in “Favola di Venezia” e in “Le Elvetiche – Rosa alchemica”.
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Corto è un avventuriero, ma un avventuriero moderno, figlio illegittimo degli eroi a tutto tondo di tanti grandi romanzi. Professa un cinismo da disilluso ma mostra di non credere fino in fondo nemmeno in quello. Riesce a dar prove di coraggio e sacrificio ma è anche capace di scappare davanti al pericolo, e di rivendicare con rabbia il suo diritto a farlo, convinto com’è che ci voglia più coraggio a vivere da vili che a morire da eroi. Dietro allo schermo dell’ironia il marinaio nasconde, come gli rinfaccia l’amico Baron Corvo, un animo da “ingenuo Don Chisciotte da strapazzo, seduttore frustrante e frustrato, parassita romantico”.
Tra i Caraibi e la Somalia, Venezia e Samarcanda, la Siberia e l’Argentina, il pirata-gentiluomo maltese, figlio di una gitana andalusa e di un marinaio della Cornovaglia, solca sulla sua “Vanità dorata” i mari in tempesta del primo Novecento, attraversando guerre, rivoluzioni ed “incontri con uomini straordinari” come Hermann Hesse, Jack London, d’Annunzio o il barone von Ungern, e con donne ancor più straordinarie come lo sono tutte quelle che entrano nella sua vita, amate e perdute, più spesso soltanto sognate.
“Io non credo né ai dogmi né alle bandiere”, proclama, e tuttavia non manca mai, un po’ per interesse e un po’ per convinzione, di correre in soccorso della parte che ritiene nel giusto, si tratti dei cangaceiros brasiliani, dei ribelli irlandesi o dei guerriglieri arabi. Impossibile attribuirgli un’identità politica: è di certo un anticolonialista e un antimilitarista, allergico agli eroi di carriera e ai redentori. Un anarchico, dunque, o forse piuttosto un anarca. E se qualcuno ha voluto accostarlo anche ai trascorsi familiari del suo alter-ego Hugo Pratt, nipote del fondatore del fascio di Venezia e per breve tempo milite della Decima Mas, c’è pure da dire che nell’unico albo in cui compaiono, la “Favola di Venezia”, nemmeno i fascisti escono troppo bene.
La sola costante nelle avventure di Corto è il più puro amore per l’avventura: “Dio solo sa quanto è brutto vivere in un mondo senza avventure, senza fantasia, senza allegria. Dimmi che mi capisci, Corto!” esclama una volta l’amico-nemico Rasputin. E Corto lo capisce bene, tanto da partire ogni volta a caccia di tesori fatti della stessa sostanza dei sogni, di imprese che diventano sempre più simili alla ricerca di se stesso, anzi “alla ricerca delle nostre follie e delle nostre glorie”, come Pratt fa dire all’incredibile barone von Ungern.
Il figlio della gitana ai sogni ci crede, malgrado il suo ostentato cinismo: “Non fare il duro” lo ammonisce l’amico Steiner, ”in fondo al cuore vorresti credere alle favole”. “Sarebbe bello vivere una favola” ammette l’eroe con la maga Bocca Dorata, la sua migliore consigliera, che subito gli risponde: “Ma tu vivi continuamente nelle favole, solo che non te ne accorgi più”.
L’avventura di Corto non ha una fine, o meglio, non ne ha una sola. Nel corso di un altro ciclo prattiano, “Gli scorpioni del deserto”, il guerriero Cush, che è stato suo compagno d’armi in Dancalia, dice di saperlo “sparito” sui campi di battaglia spagnoli, durante la guerra civile. Al termine della “Ballata”, l’amata Pandora lo descrive vecchio e cieco, di nuovo di fronte alle onde del Pacifico. “Corto Maltese non morirà” affermava a sua volta Hugo Pratt, “Corto Maltese se ne andrà perché in un mondo dove tutto è elettronica, è calcolato, tutto è industrializzato, è consumo, non c’è posto per un tipo come Corto Maltese”.
Ma chissà che perfino in un mondo simile, cioè nel mondo in cui viviamo, non sia ancora possibile imbattersi in luoghi magici e nascosti come la “Corte Sconta detta Arcana” in cui si è rifugiato l’eroe di Pratt, aprendo una porta nel sogno e andandosene per sempre “in posti bellissimi e in altre storie”.