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Cultura. Vincenzo Cardarelli classicista sui generis e l’italianità come missione spirituale

by Giuseppe Balducci
13 Novembre 2013
in Cultura
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Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli

Nel panorama culturale italiano del primo novecento si staglia atipicamente la figura di Vincenzo Cardarelli, uno dei “sette savi” fondatori  della rivista di stampo classicista e restauratore dal nome La Ronda. A lui va il merito unanime d’aver tracciato una rotta di pensiero discorde rispetto alla cultura ufficiale della sua epoca, in merito alla consistenza del pensiero poetico e filosofico – il “pensiero poetante” (A. Prete) –  di Giacomo Leopardi, svernandone il giudizio senz’altro deprecabile , solennemente formulato “ex cathedra” dal sommo pontefice della cultura nostrana: Benedetto Croce. In Poesia e non poesia, nel 1922, l’esimio ebbe a dichiarare che Leopardi era un uomo dalla vita strozzata e un escluso dalla vita, rinvenendo nella condizione fisica le ragioni del “pessimismo” – vulgata all’oggi predominante tra i profani.  Il Cardarelli, di converso,  riconoscerà nel poeta de La Ginestra uno dei nostri grandi più ineffabili e più trascurati. Una voce di là del tempo, che conduce più che ad agevoli definizioni retoriche, a fantasticare di lontananze originarie.  La sua perfezione e la sua personalità consistevano in uno sforzo fantastico di evasione dal tempo verso non si sa dove, […] un dono della sua visionarietà (1). Avrà in seguito a definirlo come il Goethe italiano; meno magico, ma anche meno commediante. 

Cardarelli si rivelerà uno spirito controcorrente nell’era delle avanguardie e delle “rivoluzioni”. In lui emerge un chiaro intento volto alla riscoperta delle radici della propria terra. Ne I Prologhi  e ne Il viaggiatore insocievole è ben espresso l’interesse del Cardarelli nel voler scandagliare la storia della propria terra, sino all’ardore di compenetrare l’arcano delle origini. Basti pensare alla pagine dedicate agli studi archeologici sulle necropoli etrusche, o al diffuso interesse per la razza dei Liguri-Siculi artefice della civiltà mediterranea. Il suo è un dichiarato amore nei confronti della propria stirpe, che vede nei re etruschi di Roma i fondatori. Non per questo – avrà a dire – tutto ciò che si trova sul suolo d’Italia si deve ritenere italiano. Per Cardarelli l’Italia è un’idea; per cui non ci si deve ridurre ai suoi caratteri fisici o preistorici. È un concetto più profondo, umano, civile. Non è affatto – come ci hanno insegnato a scuola – il risultato dei tanti popoli che l’hanno, attraverso i secoli, posseduta e calpestata.

L’Italia è senz’altro il popolo italiano: che è più di una razza o di una nazione. È una civiltà frutto dell’incontro e della fusione tra la Grecia e Roma, tra il cattolicesimo e il genio popolare italiano. Tutto il rimanente – dirà -, fuori e dentro casa nostra, non ci appartiene. In questo solco si inserirà la propria idea di tradizionalismo e classicismo. Il tradizionalismo di Cardarelli sia in letteratura che in politica sarà popolare, nella maniera da lui intesa, s’intende. Il popolo non è affatto il risultato delle tante genti ma un qualcosa di più: un’unità etnica e spirituale. Un nutrito interesse, fondato su argomentazioni ben chiare e nobili, che condurrà il nostro ad aderire, almeno intellettualmente, al fascismo.

Al fascismo e in special modo al suo artefice riconoscerà una funzione di palingenesi della concezione di popolo. Nel fascismo, Cardarelli dirà che si è assistito al riconoscimento civile del popolo che va al di là e precede fortemente quello dei sindacati. (2) Il gran merito che Cardarelli attribuisce al regime è di aver unificato l’Italia in un unico popolo, conciliando i contrari e riducendo l’Italia tutta a un campanile, di qui la convinzione maturata per cui lo Stato fascista non poteva che essere uno Stato popolare, di contro alle istituzioni liberali della vecchia Italia che al popolo si rivolgevano con epiteti simili: “carne da cannone” e “gregge elettorale”.  Del resto, comporrà in onore delle Camicie Nere – in virtù del loro ruolo seminale  –  alcuni versi di particolare intensità. «Tu <Camicia Nera> mi rammenti l’Appenino bruno / i suoi crepuscoli profondi e mitici. / Lassù ti vidi. E già del tuo colore / si vestirono gli anni del riscatto, / la Giovine Italia e Mazzini».). La sua natura schiva e solitaria lo terrà tuttavia distante dall’impegno attivo.

Assai critico nei confronti del valore dell’amicizia – per via di tante delusioni -, qualche anno più tardi, in Solitario in Arcadia, ormai sul finire degli anni, fortemente deluso e incupito mediterà sugli anni trascorsi, sulla giovinezza ormai svanita.  “Essere giovani significava incarnare una promessa, una gloriosa e audace promessa, verso la quale il mondo, com’è suo costume, poteva mostrarsi prodigo di fiducia e di condiscendenza. Di qui nasceva che a noi era dato illuderci e credere chissà a che cosa”. (3) Probabilmente a simili espressioni va ricondotto il luogo comune diffuso di poeta decadente, o ai versi noti di Distesa estate:  «Distesa estate, stagione dei densi climi/ dei grandi mattini/ delle albe senza rumore […] / sembri mettere a volte / nell’ordine che procede / qualche cadenza dell’indugio eterno».

La figura che le storie letterarie ci hanno tramandato, licenziandone l’analisi nel giro di poche righe, è di un Leopardi minore, di un poeta “morente” alla continua ricerca dell’opera perfetta, del capolavoro (G. Spagnoletti). Un poeta relegato ai margini della società. Un uomo solo. Un peregrino, un ramingo. Da alcuni definito: il flâneur della letteratura italiana al pari di Baudelaire – del resto, un dei suoi autori più amati – per quella francese.  Visse la sua esistenza in precarie condizioni finanziarie.  Amerigo Bartoli – uno dei “tre nani di Strapaese” –,  per sintetizzarne la figura, traendo spunto dalla dentiera malferma, lo definì scherzosamente “il poeta deca-denti”.

(1) V. Cardarelli, La favola di Leopardi, in Parliamo dell’Italia, Mondadori, 1981, p. 951

(2) V. Cardarelli, Stato popolare – Riflessioni intorno al Fascismo, Mondadori, 1981, p. 985

(3) V. Cardarelli, Indiscrezioni sul mio destino, in Solitario in Arcadia, Mondadori, 1981,  p. 280

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